Nel luglio del 1791, un commerciante che vantava crediti nei confronti di Mozart, tale Johann Puchberg, si recò nella modesta abitazione viennese del geniale musicista su incarico del conte Walsegg-Stuppach, per commissionargli una Messa da Requiem per la recente morte della moglie del conte stesso, il quale, sottinteso, da musicista dilettante, avrebbe spacciato per sua la composizione. Mozart era impegnato in un febbrile lavoro, avendo varie partiture da completare, in particolare le Opere La clemenza di Tito (Praga, 6 settembre 1791) e Il flauto magico (Vienna, 30 settembre 1791), ma la somma cospicua offerta e la perenne necessità di guadagno lo spinsero ad accettare la commissione, beninteso dopo i due debutti teatrali. Ma la sua salute perennemente trascurata subì un crollo dopo il viaggio a Praga per La clemenza di Tito. Ciò nonostante, rientrato a Vienna ed assolti gli impegni per Il flauto magico, il grande salisburghese si buttò a capofitto nella stesura del Requiem, pregiudicando ulteriormente il suo stato fisico. E certo, in quelle condizioni, il fatto di lavorare ad una Messa da morto, per un nobile che voleva mantenere un alone di mistero (anche se la vera paternità dell’opera sarebbe diventata facilmente un segreto di Pulcinella in tutta Vienna), non poteva che peggiorare le sue già precarie condizioni. Mozart morì il 5 di dicembre di quello stesso anno, dopo aver compiuto una piccola parte del Requiem e abbozzato il resto che venne portato a termine, su disposizione della moglie Constanze (la quale temeva di dover restituire la somma al conte in caso di inadempienza), dagli allievi di Mozart, in particolare il prediletto Sussmayr. Solo recentemente si è arrivati a stabilire attendibilmente la genealogia dell’opera.
Una vicenda del genere, così carica di suggestioni misteriose e drammatiche, attirò ben presto la curiosità di scrittori e poeti. Il primo ad accennarne fu Stendhal che nel 1815, nella sua Vita di Mozart, pur attenendosi agli scarni dati di cronaca sulla vicenda, non potè fare a meno di farne risaltare l’aspetto sovrannaturale, con il misterioso committente che assunse il ruolo di un inviato dell’oltretomba giunto ad annunciare al grande compositore la fine imminente della sua esistenza terrena. Quindici anni dopo, il poeta russo Puskin nel dramma in versi Mozart e Salieri andò ben oltre, identificando il misterioso committente con il compositore Antonio Salieri, il quale, con la scusa della commissione, si sarebbe introdotto nella casa di Mozart per avvelenarlo, mosso dall’invidia per il talento smisurato del salisburghese. In realtà, il povero Salieri aveva ben poco da invidiare a Mozart, essendo compositore e insegnante alla corte imperiale, dunque in una condizione ben più stabile e agiata dal punto di vista lavorativo. Ad ogni buon conto, la versione di Puskin ebbe un tale successo da essere accettata come verità storica nell’immaginario collettivo, diffamando il povero Salieri e favorendo l’oblio che avvolse la sua onesta arte per lungo tempo. Dal dramma puskiniano, nel 1898 Rimsky Korsakov trasse l’omonima Opera e la vicenda venne ripresa nel 1978 dal drammaturgo inglese Peter Shaffer nel suo fortunato dramma Amadeus, dal quale Milos Forman nel 1984 trasse il suo omonimo e altrettanto fortunato film.
Sebbene il certosino lavoro dei musicologi abbia sgombrato il campo da suggestioni complottistiche e sovrannaturali, resta la drammatica coincidenza di un grande musicista che si consumò definitivamente nella stesura di un Requiem del quale altri avrebbero dovuto risultarne autori; coincidenza resa ancor più impressionante dal fatto, ormai accertato, che le parti già compiute al momento della morte, servirono da accompagnamento per la commemorazione funebre che venne officiata alcuni giorni dopo la scomparsa di Mozart.