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Il respiro della cenere, di Jean-Christophe Grangé (2013)

Creato il 25 marzo 2014 da Silente
Il respiro della cenere, di Jean-Christophe Grangé (2013)Garzanti, 437 pagine
Grangé sembra voler mantenere un bel ritmo, un solo anno ci separa dall’ultimo, ottimo Amnesia, e il rischio è chiaramente quello di una qualità incostante: un autore della sua taglia non ha bisogno di tale velocità, quantomeno non come il suo editore, eppure mi è impossibile appoggiare le molte critiche piovute addosso a Il respiro della cenere, anzi, in molti passaggi il suo ultimo lavoro raggiunge certe vette spesso toccate in passato pur non brillando nella sua interezza e apparendo indubbiamente sfuocato.
È sicuramente un Grangé meno in forma, meno abile nel tenere insieme due storie ben distinte e separate nonostante l’innesco centrale sia per tanti versi spiazzante e originale nel ribaltare le situazioni. C’è molto, molto mestiere nell’indagine di Olivier Passan, non sono certo nuove le bassezze a cui ricorre per inseguire un brutale serial killer che da mesi terrorizza il paese, né le atmosfere marce o i colori unti dei bassifondi per contestualizzare una così forte degradazione psicologica – il caso stesso, a dirla tutta, non ha grandi appigli con cui sconvolgere il lettore, né ci sono particolari tentazioni soprannaturali, come in passato, con cui confondere e seminare dubbi, ma c’è una capacità impressionante, dote che ben pochi scrittori di genere hanno, di dare profondità enorme ai personaggi nei quali scava senza sacrificare in alcun modo un ritmo narrativo, che, anzi, è sempre spedito, senza respiro, scandito da uno stile esemplare e meticoloso con frasi brevi, precise, che rilasciano ogni informazione con una chirurgica attenzione lessicale.Grangé crea e mantiene un equilibrio spaventoso, ed è proprio sotto questo aspetto che si può apprezzare lo sviluppo de Il respiro della cenere: il matrimonio fallito tra Passan e Naoko e i misteri che lentamente affiorano dal passato della moglie si intrecciano alla perfezione con certi indizi disseminati precedentemente e che di colpo assumono ben altra valenza, c’è quindi un gioco sorprendente tra l’introspezione di un amore difficile, combattuto e infelice e un’espansione narrativa anche straniante non tanto per i colpi di scena (invero Grangé ha sempre sofferto nel voler trovare colpevoli e ricondurre ogni bizzarria a strade più semplici e consuete) ma perché gestita in maniera eccellente, con un’eleganza, una maestria e una competenza che quasi fanno il verso all’austerità nipponica che Passan, amante dell’onore del samurai, insegue cieco fino in Giappone, e che emergono tumultuose nel lungo combattimento finale dove il romanzo trova giustissima, epica e a suo modo tragica conclusione.

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