Acclamato regista di film raffinati come (2004) La sposa siriana ed Il giardino dei limoni (2008), premio del Pubblico al Festival di Berlino, Eran Riklis – nato a Gerusalemme e cresciuto tra Stati Uniti, Canada e Brasile – firma la sua ultima fatica, Il responsabile delle risorse umane, una pellicola tratta dall’omonimo romanzo del celebre scrittore israeliano Abraham Yehoshua (L’amante, Viaggio alla fine del millennio), distribuita in Italia dalla Sacher Film.
Fra viaggio dell’anima e ricerca della contaminazione come agente trasformativo e luogo delle identità plurali (temi cari al romanziere come al regista), il film narra la storia di un uomo solo e indifferente, il “Responsabile delle Risorse Umane”, addetto alla selezione ed al licenziamento dei dipendenti di un’azienda, che altro non sono per lui che lavoratori senza volti e senza storie. Tutto ciò fino al giorno in cui Julia Regajev (unico personaggio ad avere un nome pur risultando a lungo senza identità), una quarantenne di origine russa, ex-dipendente dell’azienda – un panificio – viene uccisa in un attentato kamikaze nel centro di Gerusalemme, con il cedolino dello stipendio in tasca, e nessuno si accorge della sua scomparsa per una settimana. Neppure il RRU, che non ricorda nulla di lei, del colloquio di assunzione o del suo bel volto (qualcuno gli ha riferito di una donna di grande bellezza), né del fatto che Julia avesse lasciato il lavoro da circa un mese. La stampa si scatena, denunciando la disumanizzazione della fabbrica in cui la donna aveva lavorato come operaia. Per tacitare lo scandalo, il padrone del panificio costringe il RRU ad intraprendere un viaggio per accompagnare la salma della donna nel suo Paese d’origine, in cerca di un congiunto disposto a riconoscerne il cadavere. Sarà proprio questo incarico, e le sue imprevedibili conseguenze, a fornire al riluttante RRU un’opportunità come poche per riscoprire un diverso se stesso, occultato per troppo tempo, più umano e capace di compartecipazione a vicende (in apparenza) lontanissime, fino al compimento di un’espiazione completa che favorisce una rinascita determinata dall’incontro con la morte.
Film e libro, all’unisono ma senza mai urlare, denunciano l’assuefazione all’insensibilità che la vita quotidiana, i media, la guerra e la disattenzione ai problemi degli altri cercano di cucire addosso a tutti noi ma, al tempo stesso, raccontano quanto luminosa, e concretamente realizzabile, possa essere la resurrezione. Interpretato da Mark Ivanir (protagonista incontrastato), Guri Alfi, Noah Silver, Rozina Cambos e Julian Negulesco, il film, che ha ricevuto il Premio del Pubblico al Festival di Locarno 2010, rappresenta un raro caso di buona simbiosi fra cinema e letteratura.
Elisabetta Colla