Con la netta vittoria alle elezioni europee, Matteo Renzi ha ampiamente consolidato il suo Governo e ora si prepara ad introdurre quelle riforme promesse a più riprese. Tra queste, ovviamente, il pezzo forte resta il Jobs Act.
Ma come, direte voi, il Jobs Act non è appena diventato legge, con il dl Poletti? Sì e no, perchè il solerte rottamatore, con la collaborazione del Ministro del Lavoro Poletti, ha dato vita solo ad una piccola parte della sua creatura: manca ancora il resto del progetto, proprio quella parte che aveva fatto sperare tanti precari nella svolta decisiva.
Renzi l'ha tenuto da parte per due motivi: primo, la necessità di dare una scossa immediata, un segnale forte all'economica italiana, con uno strumento pronto all'istante e subito applicabile (il dl Poletti); secondo, la necessità di avere una maggioranza salda, pronta a sostenerlo nel cammino delle riforme.
Bene, ora che ha dato (?) la scossa al sistema lavoro e ora che, dopo le elezioni europee, possiede un ampio consenso, dovrebbe partire il cammino che porterà alla seconda e più importante parte del Jobs Act: il contratto unico a tutele crescenti; la riforma dei Centri per l'Impiego; il reddito minimo.
Da troppo tempo, il mondo del lavoro soffre della mancanza di una normativa chiara e dell'eccesso di legiferazione, che hanno creato un'autentica giungla, che garantisce mille e una scappatoia, per chi vuole fare il furbo: dalle false partite iva, passando per gli stage gratuiti, fino ad arrivare ai contratti a – finto – progetto.
Perfino Confindustria, si sta rendendo conto che il precariato è un problema sempre più grave: con intere generazioni di lavoratori atipici, costretti a stipendi sempre più magri, i consumi sono calati in maniera preoccupante e, all'orizzonte, si vedono segnali di una ripresa ancora troppo lenta e fragile.
In molti, quindi, avevano riposto delle speranze nel progetto renziano: una sola tipologia di contratto predominante, a tutele crescenti, accompagnata da poche altre fattispecie, avrebbe potuto portare chiarezza in un sistema fin troppo complicato, mentre la riforma dei Centri per l'Impiego avrebbe dovuto facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro ed il reddito minimo avrebbe permesso di mitigare il precariato e l'eccessiva fragilità del posto di lavoro.
Invece, di chiarezza non se n'è vista, neanche con il cannocchiale: le uniche novità portate dal Jobs Act sono state più precarietà e l'appiattimento del contratto di apprendistato, completamente svuotato della sua funzione formativa, senza la quale non è che un contratto a termine, come tanti altri. C'è da stupirsi, se, in tanti, sono rimasti delusi?
Le soluzioni affrettate e pasticciate, e tale non può che essere considerata, questa prima parte del Jobs Act, non fanno bene nessuno, soprattutto se non sono accompagnate da un netto intervento in altri campi: innovazione, formazione, riforma dell'industria, meritocrazia, redistribuzione del reddito, ecc.
Quindi, caro Matteo. che fine ha fatto il resto del Jobs Act?
Danilo