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Il ricco, il povero e il maggiordomo

Creato il 30 dicembre 2014 da Af68 @AntonioFalcone1
(Movieplayer)

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Milano, oggi. Giacomo (Poretti) è un disinvolto intermediatore finanziario con la passione per il golf e i testi rari, il quale sta mettendo in atto un affare a suo dire colossale, che vede coinvolto lo stato africano del Burgundi. Accanto a lui vi è il fidato maggiordomo tuttofare, Giovanni (Storti), cultore del Giappone ed amante della colf venezuelana Dolores (Guadalupe Lancho), ormai da tempo in attesa di matrimonio. Aldo (Baglio), venditore ambulante abusivo, escogita vari modi per sbarcare il lunario, truccandosi anche da extracomunitario godendo intanto della “momentanea ospitalità” della madre Calcedonia (Giuliana Lojodice).
Causa il tracollo finanziario subito da Giacomo ed un incidente incorso fra l’auto guidata da Giovanni e il traffichino “apolide maculato”, questi tre individui così diversi fra loro per trascorsi e problematiche di vita finiranno col divenire amici e trovare un punto d’incontro in comune per dare una svolta alle loro esistenze.
A quattro anni dal complessivamente riuscito La banda dei Babbi Natale (Paolo Genovese), Aldo, Giovanni e Giacomo fanno ritorno al cinema con Il ricco, il povero e il maggiordomo, film del quale sono anche sceneggiatori (insieme a Valerio Bariletti, Morgan Bertacca, Pasquale Plastina) e registi, con la collaborazione al riguardo del citato Bertacca, che li ha già diretti in alcuni precedenti lavori teatrali.

Giovanni, Aldo e Giacomo (Movieplayer, foto di Masiar Pasquali)

Giovanni, Aldo e Giacomo (Movieplayer, foto di Masiar Pasquali)

Il risultato, dispiace dirlo, non è propriamente dei migliori, perché i punti di forza del trio, quali, in particolare, i classici canoni recitativi all’insegna del surreale, piacevolmente sospesi fra cabaret e teatro, del tutto adeguati ed integrati all’interno di un linguaggio propriamente cinematografico, sono qui messi al servizio di una storia ben costruita ma dall’incedere narrativo effettivamente lento, bloccato dalla mancanza di un vero e proprio mordente empatico, e da una regia fin troppo incolore, incapace di delineare una costruzione effettivamente lineare e “composta” delle sequenze, le quali a volte sembrano prive di un vero e proprio raccordo.
Il riferimento al quotidiano è, ancora una volta, stemperato intorno all’idea che sia la realtà di ogni giorno a doversi plasmare intorno al modus vivendi dei tre protagonisti principali, e non viceversa, ma con minore impatto nell’efficacia propositiva, sfruttando la solita commistione di toni ora infantili, ora fiabeschi, che ne Il ricco, il povero e il maggiordomo appare ondivaga fra superficialità e banalità. La comicità di Aldo, Giovanni e Giacomo, se vogliamo costruita all’antica, gag ben congegnate, presa di distanza da battute gratuite o dalla facile estemporaneità (per quanto lo slapstick delle botte in testa e relativa caduta causa lancio della pallina da golf è una triste reiterazione), essenzialmente basata sulla riproposizione di se stessi, appare ora ingabbiata in un’eleganza forzata volta alla gradevolezza complessiva di prammatica, dai toni forzati e schematici, senza alcun slancio inventivo.

Giacomo, Aldo e Giovanni (Movieplayer)

Giacomo, Aldo e Giovanni (Movieplayer)

Peccato, poi, che alcuni personaggi secondari abbiano poco spazio (come quello di Francesca Neri, anche se un certo risalto è offerto all’interpretazione della Lojodice), non riuscendo ad offrire una concreta funzionalità all’andamento narrativo, il quale si trascina, andando fin troppo per le lunghe, verso un finale artificioso e pretestuoso nel riunire dolore e gioia. In conclusione, un film che si lascia vedere, ma che tende ad incartarsi spesso su se stesso e sulla riproposizione di un déjà vu che allo stesso tempo può rendere felici e deludere i fan più fedeli (come lo scrivente), per un sapore complessivo indefinito. Probabilmente una pellicola di transizione, una riflessione sul campo su cosa fare (finalmente) da grandi, ritrovando la gioiosa irriverenza degli esordi e quel particolare mix, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, fra teatralità della messa in scena e compiuto senso cinematografico che, almeno fino a Chiedimi se sono felice (2000, co-regia di Massimo Venier) è stato il vero e proprio punto di forza dei tre, almeno a parer mio. Una rimpatriata fra vecchi amici e nulla più, contornata dal palpabile imbarazzo di non riuscire a raccontare nulla di nuovo, cui va ad aggiungersi l’aggravante di aver perso lungo il cammino il piacere di mettere in atto una compiuta e fluida narrazione.


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