Quando si è in viaggio la nostra disposizione all’accoglienza è più pronunciata che mai. Siamo, con ogni fibra del nostro essere, naturalmente portati all’ascolto e alla scoperta. Siamo più permeabili, e quindi più sensibili, privi delle solite “difese”. Ci riscopriamo ogni volta nuovi e perfino migliori, ed è questo uno dei motivi per cui adoriamo tanto viaggiare: che lo confessiamo o no, rincorriamo questa provvisoria rinuncia alla parte pleonastica e sovrabbondante di noi stessi, che corrisponde al ruolo che faticosamente ci siamo ritagliati sullo scacchiere della quotidianità.
In questa ritrovata libertà si fa nuova esperienza di sé stessi, prima ancora che delle cose intorno. E’ di quella riscoperta di sé che ci si meraviglia sino a restarne estasiati, prima che della magnificenza dei monumenti, dell’inusualità dei costumi o della novità stessa. Tornati nel nostro ambiente quotidiano, quasi ci si rimprovera il modo di “abituarsi” alla bellezza e dunque l’indifferenza verso di quella. Quante volte, mentre siamo in viaggio, ci è capitato in un baleno di comparare o assimilare le bellezze di posti a mille e più miglia da casa con la bellezza di un panorama familiare e (pertanto) ignorato?
Occhi nuovi saranno educati alla ricerca del Bello, quello a cui concediamo l’uso della maiuscola, come ci hanno insegnato a scuola.
In questi giorni, a tutti noi è capitato di veder scorrere “aggiornamenti di stato” di Facebook, Tweet, articoli di blog e servizi televisivi che guardavano ammirati ai prodigi dell’Etna in eruzione. E’ un’esperienza singolare quella di chi nasce sotto il vulcano: l’essere allenati alla magnificenza di simili manifestazioni e cionondimeno non poter farci l’abitudine. Chi come me ha un orizzonte familiare scandito da quinte come l’Etna ed il mare, saprà che per quanto tutto ciò sia paesaggio quotidiano, porta in sé i semi della straordinarietà.
Di questo privilegio, che ci porta allo sguardo sapiente dei vecchi e all’irrequietezza dei bambini, bastino le parole del “continentale” e (altrimenti) compostissimo Mario Soldati, che nel ’68 sorvola il cielo Sicilia, impastato di fuoco e d’una colonna di fumo: “L’Etna è in eruzione. Vediamo dai finestrini, sul fondo completamente nero della montagna, scendere srotolandosi un enorme serpente luminoso, un fiume spesso di lava rovente e bollente, vermiglia, gonfia, globosa nel suo procedere, e con volute e strie, più luminose ancora ma di colore arancione o addirittura giallo. E’ uno spettacolo affascinante. Lo seguiamo spostandoci da un finestrino all’altro, col progredire dell’aereo, e disturbando i passeggeri”.
E’ per descrizioni come questa che i romantici fecero uso del concetto di “Sublime”.
Soldati, giornalista, scrittore, regista, intellettuale tra i più raffinati e versatili del Novecento, per tre anni attraverserà l’Italia in lungo ed in largo per fotografare la situazione enologica della penisola, creando in verità un “documento” (poi diventato un appuntamento televisivo della RAI) che è un fermo-immagine della situazione sociale, culturale e politica dell’Italia di quegli anni.
Il Vulcano, “il ricordo del serpente di fuoco”, sarà per lui la chiave di lettura della Sicilia orientale, e non soltanto per le “qualità caloriche, carboniche, vulcaniche della terra”.
Alla fine del suo viaggio siciliano, Soldati, si lascia andare ad una riflessione: “Assale un dubbio atroce: resterà così bella, la Sicilia, il giorno che sarà invasa dal progresso? Oppure questa meraviglia è necessariamente legata ad una relativa arretratezza?”
L’Etna continua ad essere il luogo di grande fascino descritto da Maria Corti in uno dei suoi più affascinanti libri, “Catasto magico”.
Nulla è andato perso della Sicilia di Efesto e dei Lestrigoni, dell’Altrove che l’Isola rappresentava, del curioso Empedocle il cui ricordo si perde tra i vapori dell’Etna; nulla è andato perso di questi miti che inseguono la storia, di Sirene e Fate Morgane che qui dimoravano, di regine erranti per la Sicilia inseguite dai loro pretendenti.
Basta guardare al rapporto che tutti, Siciliani e “continentali”, hanno col vulcano, quando fa le bizze o quando compostamente se ne sta sulle sue, col paesaggio indissolubilmente “sentimentale” e “reale”; basta ripercorrere la fitta rete di appassionati produttori vinicoli etnei, Nouvelle Vague di aedi, gelosi sacerdoti e custodi di una tradizione millenaria capace di sedurre tutto il mondo. Nei nomi dei loro vini e nelle stesse caratteristiche e peculiarità c’è il gotha dell’immaginario isolano, l’aristocrazia della fascinazione.
Così, il “serpente di fuoco” che plasma e annichilisce, continua ad essere fucina di miti e paure collettive, perché a nessuno si neghi il sogno che non può che essere sognato, il più dolce di tutti, quello delle origini.
Magazine Cultura
Il ricordo del “serpente di fuoco”: frontiere e prospettive del “Sublime” all’ombra dell’Etna
Creato il 21 novembre 2013 da AlfiobonaccorsoPossono interessarti anche questi articoli :
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