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Il ricordo di Daniel Marino

Creato il 21 agosto 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

il-ricordo-di-danieluna recensione di Dante Torrieri.

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Dal “Il ricordo di Daniel” Edizioni Anordest – I edizione luglio 2013 – collana Linea Controcorrente.

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Daniel Marino, in seguito ad un incidente con la sua autovettura, si risveglia da un coma, protrattosi per ventisei giorni. Non ricorda più nulla, sul suo passato e cerca di far luce su di esso. Da qui comincia la cronaca inconsueta, in un resoconto tra il ricordo e il non ricordo. Giorno dopo giorno, affiorano in Daniel terribili e improvvisi dubbi: veramente le cose stanno come tutti gli hanno raccontato? La sua laurea in giurisprudenza è vera o fasulla? Prima del trauma, era sul serio un avvocato, presso una delle ditte del padre? Le sue impressioni sono reali o sono solo pura fantasia? Una cosa gli è tuttavia chiara: è vittima di una circostanza nella quale, ciascuna impressione può far luce, sulla fosca questione.

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Questa è la trama del romanzo di Marco Candida: “Il ricordo di Daniel”, che da pochi giorni ho finito di leggere. All’inizio ho cominciato a scorrerlo a rilento, però ad un certo punto… ho iniziato a “viverlo”. Come mi succede sempre, quando finisco di leggere un libro: idee e parole che potrebbero sembrare, non aver niente a che fare con il libro, nuotano dentro il mio cervello. Ma esiste sempre e comunque un legame tra le due cose. Un nesso collegato da un filo invisibile. Capita la stessa cosa nel profondo del sogno: se lo razionalizzi e lo smonti pezzo per pezzo, ti accorgi dei numerosi elementi della tua vita quotidiana. In altre parole: nel leggere un libro ingurgito le idee ed i concetti, poi di seguito li digerisco all’interno cervello. Qual è stato il risultato del sogno nel “Il ricordo di Daniel”? Ad esempio mi sono chiesto: come si capisce se un libro è un bel libro? A questa domanda si può rispondere: non esistono brutti libri, ma solo pessimi lettori. Poi ci si potrebbe spingere oltre, chiedendosi: ma come si capisce che un lettore è un buon lettore? Seguendo il filo logico del buon senso, si potrebbe rispondere: i lettori sono pessimi lettori, quando non riescono a capire le parole, le frasi… il significato del libro. Come a dire che ciascun libro, possiede un codice genetico preciso, e quando il lettore non riesce ad apprezzarlo, non significa che quel libro è un brutto libro, ma solo che possiede un codice genetico diverso dal lettore. Appunto perché, non si può fare di certo un discorso estremistico, del tipo: se un libro è bello per me, sarà bello sicuramente anche per te.

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Tornando al romanzo di Marco Candida, trovo alcuni capitoli assai apprezzabili… addirittura notevoli, ma inadatte in alcune scelte linguistiche. Quali gli uni e quali gli altri? Ad esempio a pagina 6, quando Daniel riflette tra sé e sé:

“Daniel legge l’ora dalle lancette dell’orologio a pendolo accanto al televisore. Ricorda di sapere che sua madre lo ha appeso lì apposta per ricordare a chi sta guardandosi la televisione che il tempo non si è seduto in poltrona con lui, ma che invece continua a correre e a correre.”

È difficile considerare il tempo in un modo tangibile e familiare, poiché esiste ma non si vede. Di fronte ad un televisore che produce un’immagine, si tende proprio a dimenticarlo. Perché avviene questo fenomeno? Beh la mia teoria è questa: quando ci si muove s’impiega un determinato tempo, ma al contrario di fronte ad un televisore, non ci si muove e tuttavia si guarda un’immagine in movimento. Risultato di questo paradosso? Sembra che il tempo non esista e ci si dimentica che il “tempo” e lo “spazio”, sono legate da dimensioni fisiche. E ancora a pagina 74, Amanda (la madre di Daniel), dice a Daniel:

“Se potessi ricordare tutta quanta la fatica che hai fatto per conquistarti la sedia dove stai seduto ora, sono sicuro che sentiresti la qualifica di avvocato, la targhetta sull’ufficio e persino il tappeto che hai fatto portare via da Cinzia qualche ora fa come prolungamenti del tuo essere e non solo come oggetti”

Per dare valore alle cose, si deve avere un punto di riferimento. Le differenze fra le diverse generazioni, presenti e passate (o anche future), possono tutte essere ricondotte al cambiamento, non della generazione, ma del punto di riferimento della generazione. A pagina 132, Daniel domanda a Sara (la fidanzata):

“Io sono in imbarazzo ugualmente. Come si può essere felici sapendo che queste cose noi possiamo mangiarle perché altre muoiono di fame? Come si può sentire di valere qualcosa se anche gli altri non hanno le nostre stesse possibilità fin dall’inizio. È tutto solo una recita.”

In tutta la lunga storia del mondo, l’incognita dell’”uomo” cambia a velocità sorprendente… esponenziale: un conflitto di oggi, potrebbe durare pochi mesi, ieri non poteva che durare molti anni:

“Guarda quella signora come sta composta a tavola” “non indicare col dito, non sta bene!” “magari lo fa solo perché in un posto come questo si deve fare. Se si trovasse nella giungla e fosse affamata non esiterebbe ad ammazzare un animale a mani nude. Ci sono le regole per stare in un posto come questo e le regole per stare in un posto come quello e gli uomini le seguono e basta.”

Il problema si allarga a macchia d’olio: il povero di oggi è in effetti più ricco del povero di ieri, ma questa differenza si percepisce o no? Senz’altro per misurare ciascuna forma di povertà, si deve tener conto del cambiamento, di quel punto di riferimento che dicevo prima. A pagina 140, Daniel riflette tra sé e sé:

“Daniel la sera si siede sulla poltrona che ha acquistato Sara, accende la televisione e guarda qualcosa. Ringraziando il cielo, le allucinazioni non lo assalgono quando guarda i programmi alla televisione – forse perché i programmi alla televisione, ironizza a volte tra sé e sé, sono già allucinazioni.”

Questo è il convincimento dell’intero romanzo: il tempo è misurato dalla lancetta dell’orologio, infatti il tempo acquista un senso solo se è contraddistinto da un movimento. Gli eventi per diventare ricordo (per essere memorizzati), dovranno essere misurati dal cervello che per fare questo, darà ad essi (i ricordi) un movimento illusorio. Daniel è soggetto ad allucinazioni dopo l’amnesia. Perché avviene questa cosa? Perché Daniel non riesce a ricordare. Soluzione per la mente di Daniel? Sfogare la sua mancata capacità di ricordare, generando allucinazioni sensoriali (movimento di immagini). Pertanto è del tutto logico che Daniel, abbia allucinazioni nella vita quotidiana, senza averle di fronte al televisore. Perché con il movimento delle figure, la sua mente riesce a compensare il fatto di non ricordare. A pagina 156, Daniel si chiede in una specie, di assolo monologo… drammatico:

“Come mai quando perdiamo la vita il nostro corpo marcisce? La carne si corrode e mostra le ossa. La pelle si aggronda mentre invecchiamo. Diventiamo scheletro e carne e veniamo attaccati dai vermi e dai batteri. Come mai quando perdiamo la vita diventiamo mostruosi? Perché i processi biologici che sono possibili in questo modo non sono possibili in un altro modo? Perché non ci trasformiamo in bruchi o in libellule? Perché il nostro corpo non diventa sabbia colorata? Daniel si è anche domandato quante volte nella vita a un uomo capita di respirare la polvere che sono diventati i morti. Nell’aria gira la polvere di coloro che sono morti e che sono stati cremati e le loro ceneri sono state disperse nell’aria. Quante volte le respiriamo col naso quelle ceneri? Forse perché respiriamo col naso le ceneri a volte diventiamo persone che non siamo. Forse queste polveri si depositano da qualche parte dentro di noi e ci cambiano. Prendiamo un poco dell’umore e del carattere della persona che era quella polvere.”

Ci si abitua facilmente a qualunque condizione, ma se avviene una variazione di tale condizione, automaticamente entra in attività un meccanismo, che ci riporta alla realtà del momento. Ecco in Daniel è scattato questo meccanismo di sopravvivenza:

“Perché il corpo di un neonato non è ricoperto da ali di farfalle e petali di rosa? Come mai quando veniamo dall’ignoto e finiamo nell’ignoto il nostro corpo ci procura queste impressioni?…forse tutto questo fa solo parte dell’istinto di sopravvivenza e se vedessimo i corpi appena nati o i corpi morti ossia i corpi che vengono dall’ignoto e vanno nella stessa destinazione, se li vedessimo belli, attraenti, forse desidereremmo far finire la vita per entrare in quella dimensione ignota che fa trasformare i corpi in bruchi e libellule, ali di farfalle e petali di rosa? Oppure si tratta di una forma di avvertimento? La morte non è cosa buona, ciò che c’é prima della vita non è cosa buona, non è bello.”

Noi possiamo ignorare, decine di persone che parlano in una stanza, ma se di colpo tacciono tutti quanti, subito ci guardiamo intorno e cominciamo a farci domande. Daniel si trova in quella condizione di allerta, con la sua amnesia: si pone domande che normalmente non si farebbe, perché i suoi ricordi tacciono. A pagina 186, Daniel si domanda:

“Daniel si domanda se il fatto che la verità non esista significhi che esista solo la bugia. Dunque ogni volta che cominciamo a parlare affermando “la verità è che…” dovremmo invece dire “la bugia è che…”.

La verità è una sfaccettatura della prospettiva complessiva. Un punto di vista che cambia sulla base di una circostanza. Un’ombra che cambia in funzione della posizione del Sole: all’alba la mia ombra sarà più corta, al tramonto essa sarà più lunga. Nella realtà manca una verità nuda e cruda: ciò che è vero per me, può non esserlo per un te. A pagina 293, Daniel manifesta ancora la sua titubanza sulla propria identità:

“Mentre i suoi pensieri si avvolgono su questo particolare, Daniel pensa che, se ci si ferma a riflettere, nulla sembra essere certo, stabile, tutto sprofonda in un passato che non possiamo più riafferrare: e questo è un pensiero che a Daniel procura vertigine, affanno. Tutto si dissolve. Secondo dopo secondo.”

Oppure a pagina 331, Daniel riflette argutamente sul suo stato:

“I sottotitoli erano sbagliati. L’attore o l’attrice diceva “voglio un bicchiere d’acqua” e il sottotitolo riportava “voglio andare al mare”. L’attore o l’attrice diceva: “ti amo. Voglio stare per sempre con te” e il sottotitolo recitava: “Praga è una città d’arte ineguagliabile”. L’attore o l’attrice dicevano: “mi chiamo Daniel” e il sottotitolo diceva: “uova, farfalle, candelabri”. Si chiede se in questa immagine ci sia qualcosa che c’entri con la sua condizione. Daniel è stanco. La neve cade. Magari significa che noi siamo convinti di recitare una parte e di pronunciare certe battute e invece veniamo intesi in tutt’altro modo e a volte in modo completamente senza senso. Dopo il risveglio dallo stato di incoscienza Daniel ha sentito di non aver più nessuna parte, nessun ruolo nella grande recita che è la vita… ”

Daniel alla fine delle sue vicende, ha una grande intuizione: non c’è un’immagine uguale di sé, uguale per ogni singola persona, ognuna né avrà una diversa… soggettiva. In pratica è lo stesso concetto filosofico, affrontato da Pirandello nella sua novella: “Uno, nessuno e centomila”. Dove il Vitangelo Moscarda di Dida (la moglie), era diverso da quella del Quantorzo e del Firbo (gli amministratori della banca).

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Per quanto riguarda le parti del romanzo che non ho gradito: per la magra punteggiatura, le sgrammaticature grossolane e per le ripetizioni dispersive, ti farò degli esempi pratici. Ad esempio a pagina 26, si trova questa frase:

“Dicevi che fossero tutte perdite di tempo e che non fossero sicure.”

L’errore è evidente, corretta diventa:

“Dicevi che erano tutte perdite di tempo e che non erano sicure.”

Poi altri errori si hanno nell’uso delle preposizioni.  Ad esempio a pagina 46:

“Poi ha chiesto a Amanda se desiderava vedere con lui il filmato…”
La formula esatta era:

“Poi ha chiesto ad Amanda se desiderava vedere con lui il filmato…”
Oppure un altro errore, si trova ancora a pagina 76:

“Poi Gabriel si alza e esce dall’ufficio.”

Per onesta grammaticale, la frase doveva essere:

“Poi Gabriel si alza ed esce dall’ufficio.”

Un ricorrente errore si ha, nell’uso spregiudicato ed eccessivo dei giri di parole, come si può vedere chiaramente a pagina 101:

“Mentre l’acqua scende nel bicchiere e come se la donna che sostiene di essere sua madre e la donna che sostiene di essere la moglie dell’uomo che sostiene di essere suo fratello siano con lui nella stessa stanza.”

Mi spiego meglio… gli occhi scorrono il testo e il cervello concepisce un’immagine della frase e da quella, ha inizio il teatrino mentale della rappresentazione. Perciò compreso questo ci si deve chiedere: la ripetizione o il giro di parole, possono spezzare la concertazione del lettore? La ripetizione è dannosa alla finalità, dell’intendimento del testo? E se si decide di ripete una parola (o una frase), cosa si dovrà valutare? In altre parole: quando si crea una distrazione, con la ripetizione fatta? Per me dipende dalla velocità di decodifica… che il cervello possiede, per intenderci meglio: se il tempo che l’occhio impiega, a scorrere una frase sarà “A”, mentre il tempo necessario al cervello, per generare un’immagine della frase sarà “B”, più “A” e “B” sono uguali, migliore sarà ai fini della comprensione del testo. La complicazione della ripetizione si ha perché, a qualunque ripetizione “A” non cambia mai, mentre “B” diminuisce sempre di più. Quindi alla fine non sarà più “A” a generare “B”, ma sarà “B” a generare “A”. Cioè il lettore diventa una sorta di pappagallo: non sarà più la causa a creare un effetto, ma l’effetto a creare una causa. Soluzione per equilibrare “A” e “B”? Accorciare la ripetizione il più possibile. Un’altra cosa a sfavore del romanzo è lo scarso uso della punteggiatura. Un esempio si può osservare a pagina 129:

“Si puntella alla parete del corridoio accanto alla stanza da letto che come Sara gli ha raccontato lei ha occupato per qualche tempo molti anni fa.”

Io l’avrei scritta, con un paio di virgole in più:

“Si puntella alla parete del corridoio, accanto alla stanza da letto che come Sara gli ha raccontato, lei ha occupato per qualche tempo molti anni fa.”

E magari avrei aggiunto anche i due punti:

“Si puntella alla parete del corridoio, accanto alla stanza da letto che come Sara gli ha raccontato, lei ha occupato per qualche tempo: molti anni fa.”

Per renderla più incisiva poi i punti di sospensione… sarebbero serviti allo scopo:

“Si puntella alla parete del corridoio, accanto alla stanza da letto… che come Sara gli ha raccontato, lei ha occupato per qualche tempo: molti anni fa.”

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In ultima analisi vorrei soffermarmi, su altri aspetti paragonabili ad un fatto avvenuto di recente, nel panorama della cronaca politica italiana: lo scandalo di Renzo Bossi… detto il Trota. Leggendo molto attentamente il romanzo, tante volte sembra che le vicende del protagonista “Daniel Marino”, sono simili a quelli accaduti a “Renzo Bossi”. E per puro divertimento immaginativo (?) ho elencato di seguito, tredici similitudini esistenti tra i due personaggi:

1- Daniel è un figlio di papà; anche Renzo lo è.

2- Daniel vive il presente, ignorando il suo passato; anche Renzo in un certo senso.

3- Daniel possiede una laurea falsa (nella fantasia!?); anche Renzo la possiede (nella realtà!).

4- Daniel lavora in una delle aziende del padre, con scarsi risultati; anche Renzo nella Lega Nord e si è dimesso per i tanti scandali.

-5 Daniel riceve un avviso di garanzia falso: anche Renzo l’ha ricevuto (vero però!).

6- Il padre di Daniel, ha creato un impero finanziario; anche il padre di Renzo, ha creato un impero politico.

7- La villa della famiglia di Daniel, sarà ristrutturata; anche la villa della famiglia di Renzo lo è stata.

8- Al fratello di Daniel (Gabriel) piacciono le auto; anche al fratellastro di Renzo (Riccardo) piacciono molto.

9- Il padre di Daniel ha studiato poco; anche il padre di Renzo, non ha molto studiato.

10- Daniel è nato a Tortona: vale a dire l’anagramma di “Trota no”.

11- Il cognome di Daniel è Marino: vale a dire l’anagramma di “Maroni”.

12- Nel romanzo un “capitolo” è una “scena”: “scena” è l’anagramma di “nasce”.

13- Anagrammando le parole: “scena” “Tortona” e “Daniel Marino”, si ottiene: “e da Maroni nasce il Trota, no?”.

Alla luce di tutte queste somiglianze, mi sono posto quattro schiocche domande:

1- È plausibile pensare che Renzo Bossi, somigli più a Maroni che a Umberto Bossi?

2- È plausibile pensare che Umberto Bossi, abbia concepito Renzo ha 47 anni?

3- È plausibile pensare che Umberto Bossi, abbia concepito un terzo figlio a 49 anni?

4- È plausibile pensare che Umberto Bossi, abbia concepito un quarto figlio ha 54 anni?

Lascio dunque le logiche incoerenze, al buon senso di ciascun lettore, ammettendo che tra la realtà e la fantasia esiste spesso un abisso… appunto.


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