Marcofabio
Righini: Ottica e Stelle
Siamo qui riuniti per assegnare un premio. Ma nello
stesso tempo siamo riuniti per ricordare un collega, un amico.
Vogliamo con questo premio, che speriamo si rinnovi
nel tempo, ricordare uno scienziato che per troppo poco tempo ha lavorato con
noi, ma che nonostante ciò ha lasciato una traccia. Marcofabio Righini ha
lasciato una traccia che non desideriamo vada perduta.
Il mio intervento non riguarda lavori scientifici in
ottica od altro, lascio questo compito ai miei colleghi, a coloro che hanno
condiviso le ultime ricerche di Marcofabio o che hanno operato in campi affini.
Io vi vorrei parlare di un tempo lontano, lontano
ormai più di 20 anni.
Eravamo nel 1984 quando proposi per l’esame di
Laboratorio del IV anno del corso di laurea in Fisica alla Università La Sapienza, alcune esperienze di astronomia da
svolgere utilizzando il telescopio dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e gli
strumenti di rivelazione ad esso connessi.
Si presentarono molti studenti e fra loro notai subito
un ragazzo alto, prestante, con lo sguardo aperto e sempre sorridente.
Fu così che conobbi Marcofabio Righini.
L’esperienza si svolse regolarmente, l’esame ebbe
risultati positivi ed io ebbi modo di apprezzare il lavoro di quello studente
che alla serietà dell’impegno univa sempre un atteggiamento allegro, direi
quasi gioioso nei rapporti con gli altri.
Circa un anno dopo, nel frattempo Marcofabio aveva
quasi terminato i suoi esami, lo ricontattai per proporgli un argomento di tesi
per la laurea. Accettò, come sempre con entusiasmo.
Si trattava di un lavoro difficile. Era un momento di
transizione in cui i rivelatori astronomici stavano subendo una evoluzione
epocale. Le lastre fotografiche che avevano dominato l’acquisizione delle
immagini in astronomia per quasi 90 anni e con le quali erano state effettuate
la maggior parte delle misure di posizione, di fotometria, di spettroscopia
dell’astronomia moderna stavano lasciando il posto ai rivelatori CCD.
Non si trattava certo delle CCD attuali; erano degli
oggetti a bassa definizione, pieni di difetti di riga e di pixel. Costosi
perché prodotti solo per applicazioni particolari, coprivano un campo
modestissimo rispetto alle lastre fotografiche: ma avevano una efficienza
quantica eccezionale per l’epoca.
Potevano arrivare con dei coatings particolari al
(30-40)% su quasi tutta la banda ottica, contro il (2-3)% delle lastre
fotografiche (più recentemente con le CCD cosiddette back-illuminated si arrivava al (85-90)% coprendo anche l’UV
vicino).
Valeva la pena quindi fare qualsiasi sforzo per
utilizzarle. E di sforzi se ne dovevano fare di notevoli poiché le immagini
ottenute in forma digitale (oggi è del tutto ovvio, ma allora non era così),
dovevano essere acquisite, dal rivelatore, elaborate e visualizzate con i mezzi
di calcolo dell’epoca.
Eravamo nel 1986, la Intel aveva prodotto l’80286 a 4MHz ma la maggior
parte dei computer IBM montava ancora l’80186, e la Motorola aveva prodotto
il 68000 a
8 MHz che sembrava un miracolo perché indirizzava a 32 bit.
Le elaborazioni di immagini si potevano fare solo con
dei Main Frames e software specifici per astronomia non ne esistevano che
uno o due al mondo. In Italia uno di
questi girava nel VAX dell’Istituto di Astronomia di Padova, ed un altro nel
VAX dell’Istituto di Astronomia di Roma all’Università La Sapienza.
Per dare un'idea del momento che sto descrivendo basti
pensare che per visualizzare una immagine di appena 512x512 pixel a 16
bit/pixel, uno di questi Main Frames poteva impiegare decine di secondi. Non
parliamo poi del tempo necessario per fare anche semplici elaborazioni,
valutabili in alcuni minuti/frame.
In questo contesto proposi a Marcofabio di utilizzare
un rivelatore CCD che io ed altri collaboratori stavamo mettendo a punto per il
telescopio Schmidt di Campo Imperatore, per rivelare in tempo reale
l'esplosione di Supernovae in galassie esterne. All'epoca si conoscevano solo
alcune centinaia di questi eventi ed il loro studio spettroscopico nelle fasi
iniziali dell'esplosione era limitato a poche decine di oggetti. Riuscire a
rivelarli in tempo reale avrebbe significato aumentare enormemente la
statistica e conoscere in modo dettagliato la fisica dei primi istanti di
dell'esplosione.
Questi eventi erano, e sono tuttora, fondamentali nel
ricostruire l'origine di moltissime caratteristiche dell'attuale Universo:
dalla distinzione delle diverse popolazioni stellari, all'origine di molte
nebulose galattiche, degli elementi
pesanti, dei raggi cosmici, ed addirittura alla
definizione di candele standard per la misura delle distanze cosmologiche, e
molto altro ancora.
Per fare questo, era necessario disporre di un
opportuno rivelatore con un campo relativamente grande, un telescopio ed un
sito astronomico con la giusta profondità di rivelazione, un sistema di
acquisizione, controllo, ed elaborazione delle immagini che lavorasse in tempo
reale.
Le statistiche di accadimento di questi eventi
suggerivano che per avere dei risultati significativi senza aspettare mesi o
anni si dovevano studiare e misurare alcune centinaia di galassie esterne per
notte.
Quindi:
* si doveva
realizzare uno strumento di rivelazione affidabile,
* lo si
doveva installare al fuoco di un telescopio al largo campo come un telescopio
Schmidt, e questo non era mai stato tentato prima,
* per ogni
campo di galassie appena acquisito si doveva rinormalizzare l'immagine in tempo
reale, ed elaborarla,
* si
doveva verificare tramite la misura fotometrica di tutta la galassia divisa in
opportuni settori la presenza o meno di un evento, confrontando sempre in tempo
reale i risultati con misure della stessa galassia ottenute in notti
precedenti,
* passare
in caso negativo ad altro campo con un controllo automatico del puntamento del
telescopio.
Tutto questo non poteva essere fatto con dei Main Frames
ma con processori dedicati, che lavorassero appunto in tempo reale. La scelta
era già caduta sui processori Motorola 68000, ma la scrittura del software per
motivi di velocità non poteva essere fatta che in assembler, con una gestione capillare perfino del singolo pixel
dell'immagine.
Era una tesi con degli obbiettivi da far tremare i
polsi.
Marcofabio si mise subito al lavoro. E lavorammo
insieme, per molti mesi, alternando la scrittura di decine e decine di routine
assembler ai collaudi con immagini di prova prese al telescopio da 40 cm che avevamo a Monteporzio.
Lavorammo duramente.
Non ricordo tuttavia quel periodo come un periodo
pesante. A volte alcune sue battute riuscivano a risollevarci, nonostante che i
problemi e le difficoltà si succedessero continuamente.
Anche le discussioni erano piacevoli. Si arrivava
quasi sempre ad una conclusione condivisa, e quando ciò non avveniva, si
riusciva sempre a mantenere il rispetto reciproco. Si discuteva di tutto,
Marcofabio aveva una sua opinione su tutto.
Grande era la sua disponibilità nei confronti dei
colleghi. In particolare ricordo una volta, eravamo lui ed io soltanto in
cupola all'0sservatorio di Monteporzio, e stavano collaudando alcune routines
di controllo del telescopio quando io inciampai cadendo malamente. Un piede
rimasto incastrato riportò una contusione ed una vasta lacerazione. Fu
Marcofabio a portarmi al pronto soccorso, e poi dal momento che non potevo
guidare per i 9 punti applicati, fu lui che mi portò direttamente a casa
nonostante l'ora tarda. Questo era Marcofabio.
Alla fine di un lungo periodo che durò più di un anno
arrivarono i collaudi finali al telescopio di C. Imperatore. Quel posto gli
piaceva, nonostante l'inclemenza dell'ambiente, e la durezza delle notti
invernali da passare in cupola aperta a 2.200 m s.l.m.. Forse gli piaceva perché nella
stazione di sorveglianza di ponti radio dell'aeronautica che ivi aveva sede,
aveva trascorso in passato una parte del suo servizio militare.
Il lungo lavoro fatto dette i suoi risultati anche se
non scoprimmo mai una supernova. Il sistema si rivelò efficiente, l'analisi
delle immagini in tempo reale affidabile. Scoprimmo molte volte qualcosa che
sembrava essere quello che cercavamo, ma Marcofabio era molto rigoroso. Ed io
avevo imparato a fidarmi di lui. Analisi successive dimostrarono sempre che
quei segnali rivelati dal sistema erano degli spuri dovuti a raggi cosmici.
Anche in questo senso l'intera procedura si rivelò all'altezza degli scopi
previsti, e ci evitò falsi risultati positivi.
Finalmente si laureò.
Successivamente presentammo il risultato del nostro
lavoro ad un workshop a Padova, e Marcofabio, in quello che fu il suo primo
intervento pubblico, ebbe notevoli consensi.
Per inciso, molti anni più tardi la Direzione dell'Osservatorio
di Monteporzio impostò un intenso programma di ricerca di SNe in galassie
esterne, adottando virtualmente il nostro metodo, ed utilizzando le stesse
tecniche con lo stesso telescopio, modificando soltanto la banda di
rivelazione: nel vicino IR invece che nella banda ottica. Anche i tempi recenti, agguerriti gruppi
internazionali in alcuni Osservatori esteri continuano a ricercare SNe in
galassie esterne con concetti e metodi molto simili a quelli da noi tracciati.
Continuammo a lavorare insieme. Ci interessammo alla
struttura morfologica degli ammassi globulari delle galassie a spirale e alle
possibili evidenze sperimentali che avremmo potuto rivelare con i nostri
strumenti.
Pubblicammo.
Ma come troppo spesso avviene nel nostro Paese, le
possibilità di inserimento nelle strutture di ricerca non sempre sono in
accordo con la validità delle ricerche stesse, o con le competenze degli
addetti ai lavori. Nessuna possibilità di inserimento di qualsiasi tipo fu resa
disponibile nel mio Istituto.
A malincuore, dopo alcuni mesi di collaborazione
post-laurea dissi a Marcofabio che ulteriore tempo passato con me non gli
sarebbe stato utile.
Lo sapeva. Ne avevamo parlato molto tempo prima, prima
ancora di iniziare il lavoro di tesi. Lo sapeva ma aveva accettato lo stesso:
questo era Marcofabio.
Inizio a guardarsi intorno: lui aveva acquisito buone
competenze ed era bravo. Non tardò molto a trovare un inserimento sia pure in
un campo diverso in un Istituto diverso. Ottenne una borsa di studio del CNR,
ma quel che più conta incontrò Stefano Selci.
Ma, come dice un noto autore, "questa è un'altra storia", ed io
quindi mi fermo qui.
Marcofabio era bellissimo, come un attore del cinema, e buono...
Purtroppo un male crudele lo ha portato via, anche se lui ha lottato con coraggio affrontando il dolore.
Noi non l'abbiamo dimenticato.
Vorrei avere la fede per immaginare che lui, in una qualche forma, sia in mezzo alle sue stelle.