Ormai percepiamo le società di appartenenza in cui siamo immersi come contesti estranianti che ci subissano. Vi apparteniamo perché ci inglobano, ma ci sono estranee perché ne subiamo i rituali e le imposizioni senza possibilità di incidere o partecipare realmente. Sempre più persone si stanno accorgendo che il voto elettorale non è vera partecipazione. Limita l'intervento della base popolare ad indicare chi si vuole che decida per noi su di noi, acconsentendo che l'infernale sistema che determina le nostre vite possa continuare a farlo col consenso degli elettori. Sono sempre più certo che la caduta di senso della democrazia, che in origine avrebbe dovuto essere l'esplicazione politica della partecipazione di tutti e tutte alla gestione della cosa pubblica, sia stata totalmente edulcorata. Le già esigue potenzialità di condivisione collettiva delle scelte pubbliche sono state completamente annichilite. La democrazia oggi è sempre più ingannevole, luogo di raggiro spudorato da parte dei potentati di turno a danno dei più, che nulla contano e nulla possono.
Preda di questa situazione avvilente, anche la politica politicante, sempre più ridotta a residuo di un ruolo sociale fino a non troppo tempo fa predominante, sta mostrando il suo volto attuale: l'aumento progressivo d'inconsistenza, indotta da condizioni obbliganti che incombono. La funzione decisionale di regolatrice dell'assetto sociale permane, circoscritta e limitata però da condizioni sovrastanti cui non riesce a sottrarsi, né in realtà lo vuole perché altrimenti potrebbe trovarsi eclissata. La politica riesce ad essere pienamente sovrana quando il quadro territoriale in cui opera è autonomamente sovrano. Ma quando questo è oggettivamente dipendente da contesti globali più ampi che lo sopravanzano, anche il suo ruolo si ridimensiona riducendosi a funzioni dipendenti in cui viene incanalata.
In questo senso l'Italia è esemplare. Continua a precipitare in un baratro senza fondo d'incapacità e inefficienza, condito in modo saporito con dosi letali di corruzione e ruberie a vari livelli. Non secondaria l'ala protettrice di andrangheta camorra e mafia, tre spregiudicate multinazionali sempre in grande attivo pecuniario al di là e sopra qualsiasi crisi finanziaria. In proposito Saviano è oltremodo efficace: Negarlo sarebbe colpevolmente ingenuo: ciò che rende l'Italia un Paese in cui sembra ... sempre più necessario emigrare è soprattutto la corruzione. Una corruzione che non è il banale istinto a rubare, che razzismi minori imputano alla cultura di un Paese. Non si tratta di episodi di malcostume, ma di meccanismi reali, fin troppo tangibili, concreti e diffusi ovunque: una macchina sommersa e infame che garantisce i complici del sistema e esclude gli onesti. (“Il decalogo anti-corruzione”, “la Repubblica”, mercoledì 12 marzo 2014)
La cura RenziCosì succede che le decisioni che vengono prese di fatto non servono per gestire la conduzione sociale autonoma di un popolo che cerca di vivere al meglio delle sue possibilità, ma per tentare di rientrare nei ranghi generali e globali da cui la politica dipende, stabiliti sopra la sua testa e all'interno dei quali è legittimata a sopravvivere. Sovranità, titolarità, autonomia decisionale e rappresentanza politica, categorie di scuola che teoricamente dovrebbero definire che cos'è una nazione democratica, sono bellamente saltate, sacrificate sull'altare votivo del supremo dominio finanziario globale e plutocratico. Contribuendo a rafforzare gli inganni che ci attanagliano, continuano ad essere affermate, soprattutto evocate, dagli addetti ai lavori e dagli intellettuali “organici”, mentre il loro fattivo e concreto esercizio sta scomparendo, è in via di mutazione.
Le ampie maglie avvinghianti dei sistemi di dominio imperanti, sempre più potenti e inattaccabili, ci stringono vieppiù in una morsa tendenzialmente letale che ci rende del tutto dipendenti. Combatterle con le armi cui siamo culturalmente avvezzi non può perciò che risultare altrettanto inconsistente quanto lo è diventata la politica istituzionale nella sua funzione decisionale.
All'interno di questa propensione avanzante, ammantata da un clima di estrema supponenza da parte dei poteri dominanti e d'impotenza da parte di chi li subisce, l'azione delle forze che si contendono il governo politico, indifferentemente collocate a destra o a sinistra, ad uno sguardo disincantato appare in tutta la sua inclinazione conservatrice, cioè volutamente tendente a rafforzare lo stato di cose esistente.
Emblematica in questo senso l'impostazione del Pd attraverso l'azione da premier di stato del suo attuale segretario ipercinetico. Con un piglio di dinamicità sorprendente, sta tentando in modo ossessivo di attuare un poderoso insieme di cambiamenti, il cui scopo dichiarato è di trasformare a tutto campo il modus operandi istituzionale che da decenni sta massacrando il nostro paese, divenuto completamente inetto e dannoso per la conduzione della vita sociale ed economica. È sotto gli occhi di chiunque che il paese Italia non è in grado di sopravvivere nel presente globale se non cambia radicalmente modo di essere, se non trova il modo di adeguarsi al sistema di dominio internazionale che ci sta sovrastando. La cura Renzi pretenderebbe di riuscire là dove finora hanno miseramente fallito i suoi predecessori: la capacità di attuare il compito di conservazione attraverso un adeguamento più che corposo.
Le sue proposte di attuazione in tal senso sono molto loquaci e mettono da parte definitivamente la divisione tra destra e sinistra, ormai obsoleta e vissuta come un peso per l'efficentismo e il tecnicismo rampanti. 80 euro in più al mese nelle buste paga dei redditi inferiori a 1500 euro mensili (non cambia la vita delle persone ma è molto efficace a livello di propaganda), diminuzione del cuneo fiscale, aumento della tassazione delle rendite finanziarie, nuova legge elettorale, ridimensionamento delle strutture istituzionali a partire dal Senato della Repubblica, e via di questo passo. Non c'è una proposta o un'azione che incida sul senso e sulla qualità della vita sociale, non c'è una visione diversa delle cose, non c'è un progetto di vita e di produzione alternativo.
Quel senso e quella qualità che ci hanno condotto al disastro che stiamo subendo rimangono intatte, anzi rafforzate. È sempre lo stesso linguaggio, tutto perfettamente all'interno del medesimo paradigma di dominio fondato sulla disuguaglianza, sul predominio dell'avidità finanziaria, sul rafforzamento dei poteri dominanti. Non si tratta di interventi legislativi volti ad aiutare la comunità ad appropriarsi di autonomia e a rialzarsi, ma sono soluzioni che aiutano la perpetuazione di ciò che già c'è, illudendo di cominciare a migliorare le proprie condizioni. Risolveranno, forse, qualche problema contingente, per ripiombare, nuovamente illusi, nel baratro del modello autoritario liberista che impoverisce e riduce in miseria grandi masse umane, considerate massa di manovra per l'arricchimento di spietate plutocrazie. Renzi rappresenta la punta di diamante di chi, come dice giustamente Freccero, non vuol cambiare il mondo, ma vuol far funzionare quello che c'è.
Spinte dal basso, autogestiteNon possiamo che rifiutare una simile logica, perché si basa su una prospettiva inevitabilmente conservatrice di un presente che riteniamo aberrante. Da anarchici, che anelano all'emancipazione dallo sfruttamento economico e dall'abbrutimento dovuto alla sottomissione ai potenti di turno, non possiamo che contrastarla per quanto ci riesce con una critica impietosa e con esempi di vita.
Quanto ci vorrà per capire che un cambiamento radicale vero, a favore di un'autentica giustizia sociale, di un accrescimento dell'autonomia e della libertà, di un mutualismo sostanziale che avvii processi di solidarietà, confronto e scambio liberi, non può che passare da spinte dal basso autogestite, mentre nelle istituzioni di potere vigenti, pensate e strutturate per imporre gestioni dirigenziali manageriali e di casta, qualsiasi azione in tal senso verrà annullata?
Da A-Rivista Anarchica
Magazine Società
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