Il solo odore mi provocava l’orticaria e difronte a quella visione fumante scappavo. Difatti, fino al ventunesimo secolo, nessuno può affermare – a meno di non essere tacciato come uno spudorato mentitore – di aver visto in cucina contemporaneamente me e l’ortaggio più nutriente al mondo. Anche mia mamma era rassegnata ed a mezzogiorno si imponeva una scelta dicotomica: io oppure il piatto di pasta e cavoli?
Il tempo trascorre inesorabile e le posizioni giovanili, in genere rigide e prive di compromessi, si ammorbidiscono. La mente diviene flessibile e ciò che in passato appariva un nemico, un bel giorno, si trasforma in un elemento positivo.
Il merito è di mia suocera, devo riconoscerlo.
Da sopraffina cuoca quale ella è, al pranzo di un giorno qualsiasi mi propose un succulento pasticcio ricoperto di formaggio. Il profumo mi conquistò subito, l’aspetto invitava all’assaggio ed il magico mix di sapori, pasta e aromi soddisfò appieno le mie papille gustative. Da quel momento amai il cavolo.
Il segreto di quella ricetta fu mischiare i sapori, evidenziare il buono e nascondere ciò che non affascina. L’odiato cavolo era presente ma dietro una coperta di aromi, il timballo conteneva sempre gli stessi ingredienti ma combinati in modo che – dall’esterno – non era più possibile scindere il cavolo dal formaggio.
«Come si chiama questa ricetta?» chiesi appagato a mia suocera mentre col fazzoletto mi pulivo la bocca ancora piena di pasticcio.
«E’ un rimpasto di cavoli e formaggio ma se non ti piace il termine puoi anche chiamarlo gattò» replico la mamma di mia moglie.
Modificare nome senza alterare i contenuti per trasformare il vecchio in nuovo, scambiare l’ordine degli ingredienti conservando sempre gli stessi elementi: anche questa è una virtù tutta italiana.
MMo