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Prima di fermarci a capire cosa significa “riparatore di reputazioni”, è interessante soffermarsi sul suo cognome, che ci riporta alla memoria il celebre scrittore irlandese al quale, sicuramente non per caso, strizza l’occhio Chambers. Nel romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” (*), indubbiamente la più celebre opera di Oscar Wilde, appare infatti un libro che sembra avere molto in comune con il “King in Yellow” immaginato da Chambers: un “velenoso” libro dalla copertina gialla (alcuni traduttori in realtà la preferiscono “ocra”, che è però pur sempre una variante del giallo), la cui lettura coincide, anche in quel caso, con l’inizio della fine del protagonista. Wilde e Chambers parlarono quindi forse dello stesso libro? Quasi certamente sì. Ma se Chambers prese spunto da Wilde, da chi prese spunto quest’ultimo?
“Il libro che avvelenò, o rese perfetto, Dorian Gray non esiste; è soltanto una mia fantasia”, scrisse Oscar Wilde nel febbraio 1894 in una lettera di risposta ad un lettore. Un’affermazione decisa che sembrerebbe essere stata pronunciata apposta per chiudere definitivamente il discorso. Ma era proprio quella la verità? Se così fosse la nostra ricerca delle origini del mito, che stiamo portando avanti da mesi sul blog, sembrerebbe essere già giunta al capolinea. La realtà invece è ben diversa e venne accennata dallo stesso Oscar Wilde in un'altra lettera scritta il 15 aprile di due anni prima: “Il libro di Dorian Gray è uno dei molti libri che non ho mai scritto, ma fu suggerito in parte da “À rebours” di J.K. Huysmans. Si tratta di una variazione fantastica sull’iperrealistico studio di Huysmans circa il temperamento artistico nella nostra inartistica età” (O.Wilde – Vita attraverso le lettere). Nel 1921 - come ci fa sapere Masolino D’Amico nella sua introduzione alla prima edizione del Dorian Gray pubblicata da Mondadori (luglio 1982) - lo studioso tedesco Bruno Fehr dedicò uno studio alla ricerca di questo mitico libro dalla copertina gialla, ovvero alle fonti d’ispirazione del Dorian Gray; e qui, oltre a segnalare alcuni riferimenti diretti a Huysmans, viene citato Maemoiselle de Maupin (1835-36), di Gautier, e addirittura Les Fleurs du Mal di Baudelaire (Bruno Fehr, Das Gelbe Buch in Oscar Wildes Dorian Gray, Englische Studien, 1921). Materiale per continuare il nostro viaggio quindi non ci manca, anzi credo che questa serie di articoli dedicati agli Yellow Mythos sia ancora ben lontana dalla sua conclusione. Oggi tuttavia vogliamo soffermarci sul racconto di Chambers che dà il titolo al post, vale a dire “Il riparatore di reputazioni”. Si tratta di un racconto che definire “strano” è un eufemismo. Molto breve, lo si legge d’un fiato, e strutturato in tre piccoli capitoli, il racconto giunge alla sua conclusione lasciando nel lettore un po’ d’amaro in bocca. Di cosa ci ha voluto parlare il suo autore? Nello svolgimento del racconto vengono introdotti diversi personaggi e diversi concetti, la maggior parte dei quali solo parzialmente sviluppati, e si rimane con la sensazione che non ci sia stato detto nulla. Sembra quasi che Chambers abbia voluto appositamente scrivere un testo criptico, aperto a mille sviluppi, che verranno fortunatamente (quasi come se Chambers stesso lo presagisse) ripresi da decine di scrittori negli anni a venire.I personaggi del racconto sono diversi, ma la vera chiave di volta è senz’altro rappresentata dal già più volte citato libro che appare brevemente, oltre che nel passo riportato nel mio articolo precedente, nel “Riparatore di reputazioni”, dove viene così descritto: “Quando il governo francese ne aveva sequestrato le copie appena giunte a Parigi, Londra ovviamente aveva cominciato a bramarne la lettura: com’è noto, il libro si diffuse come una malattia infettiva, di città in città , di continente in continente, proibito qui, sequestrato là, condannato dalla stampa e dal pulpito, censurato persino dai più moderni fra i letterati anarchici. Quelle pagine sinistre non violavano nessun principio specifico, non promulgavano nessuna dottrina, non insultavano nessuna opinione. Non era possibile giudicarle secondo norme note, eppure, anche se tutti riconoscevano che Il Re in giallo raggiungeva un livello supremo di arte, si percepiva che la natura umana non poteva sopportarne la tensione, né arricchirsi di quelle parole in cui si annidava l’essenza del veleno più puro. La stessa banalità e innocenza del primo atto serviva solo a far poi cadere il colpo con un effetto ancor più devastante”. (Traduzione di Daniele A. Gewurz, Ed. Dragomanni.)
I personaggi del racconto sono diversi, dicevo, ma tra tutti quelli che vale la pena citare sono Hildred Castaigne, il narratore, che nel corso della convalescenza dovuta ad una caduta da cavallo viene a contatto con il già citato libro dalla copertina gialla che lo renderà folle, Louis Castaigne, cugino di Hildred, ufficiale dell’esercito nonché promesso sposo di Constance Hawberk, figlia di un armaiolo sotto le cui mentite spoglie si celerebbe nientemeno che il marchese di Avonshire, e naturalmente Mr. Wilde, del cui nome di battesimo non ci è dato sapere. Un personaggio bizzarro in tutti i sensi, quest’ultimo, a partire dall’aspetto fisico, che viene così descritto: “Le orecchie artificiali erano la sua unica debolezza: erano fatte di cera e dipinte di un rosa conchiglia, ma il resto del viso era giallastro. Avrebbe fatto meglio a concedersi il lusso di qualche dito artificiale per la mano sinistra, che ne era completamente priva, ma quello sembrava invece non creargli fastidio, e si accontentava delle orecchie di cera. Era basso, superava a malapena un bambino di dieci anni, ma aveva le braccia magnificamente sviluppate, e cosce muscolose da atleta. La cosa più degna di nota riguardo a Wilde, però, era che un uomo della sua meravigliosa intelligenza ed erudizione avesse una testa come la sua: era schiacciata e appuntita, come le teste di molti di quegli infelici che vengono rinchiusi nei manicomi”.Mr. Wilde è un riparatore di reputazioni: un concetto che, considerando l’epoca a cui risale il racconto, è da ritenersi perlomeno singolare. Mr. Wilde offre i suoi servizi a coloro che si ritrovano con la reputazione rovinata a causa di scelte infelici (chi perché si è rovinato alle corse di cavalli, chi perché è stato visto frequentare quartieri malfamati) e, grazie al suo giro di sconoscenze, fa in modo che tali scabrosi particolari vengano “dimenticati” dalla società. L’attività di Mr. Wilde sembrerebbe adattarsi perfettamente alla società odierna, quella di internet, dove una foto o una frase pubblicata accidentalmente su un social network sono in grado di danneggiarci per sempre nel lavoro o nei rapporti con gli altri, ed è davvero singolare, come dicevo prima, che Chambers l’abbia immaginata oltre un secolo fa.Il mondo creato da Chambers per i suoi personaggi è una New York distopica: un futuristico 1920 dove il suicidio non solo è ben visto, ma anche gestito dal Governo per mezzo di apposite installazioni, le cosiddette “Camere Letali”, nelle quali i disperati possono trovare sollievo assistito alle loro pene. Un’epoca oscura e oppressiva che giustifica di fatto alcune scelte di narrazione (Hildred, a causa della caduta da cavallo, viene sottoposto a cure psichiatriche, preludio al tragico finale).
«Lei parla del Re in giallo», gemetti rabbrividendo. «È un sovrano al cui servizio si sono posti gli imperatori». È in una raccolta di manoscritti offertagli da Wilde, dal titolo “La dinastia imperiale d’America”, che Hildred Castaigne crede riconoscere la verità che gli fu celata: “Esaminai una a una le pagine lise, consumate solo dalle mie mani e, pur sapendo tutto a memoria, dall’inizio, «Quando da Carcosa, dalle Iadi, da Hastur, da Aldebaran», fino a «Castaigne, Louis de Calvados, nato il 19 dicembre 1877», lo presi a leggere rapito, con un’attenzione avida, fermandomi per ripetere ad alta voce certi passi, e attardandomi specialmente su «Hildred de Calvados, figlio unico di Hildred Castaigne e Edythe Landes Castaigne, primo nella successione….»” .
Ecco che si affaccia per la prima volta nel racconto la figura di un sovrano. Hildred ritiene che il cugino stia tramando contro di lui per sottrargli il trono che gli spetta di diritto e viene travolto dalla follia."Che le nazioni si levino e alzino lo sguardo sul loro Re! Andai al mobiletto e prelevai dalla custodia lo splendido diadema. Indossai la veste di seta bianca con il ricamo del Segno Giallo e mi posi la corona sul capo. Alfine ero Re, Re in Hastur a pieno diritto, Re perché conoscevo il mistero delle Iadi e la mia mente aveva sondato le profondità del lago di Hali. Ero Re!"Abbiamo fatto la conoscenza di un Re, infine. Ma si tratta di un vero Re, oppure del semplice delirio di un folle? Forse lo scopriremo in seguito, ma se accadrà, non sarà la penna di Robert W. Chambers a dircelo. Egli però getta intanto sul piatto di fronte a noi una serie di termini che andranno continuamente ripresi nella mitologia futura: Carcosa, Hali, Hastur, il Segno Giallo, la Maschera Pallida. Il riparatore di reputazioni incontrerà il suo destino in un gatto nero, proprio come il protagonista dell’omonimo racconto di Poe (altra citazione?). Hildred Castaigne terminerà i suoi giorni in un manicomio. Tutto concluso? Direi proprio di no, perché intanto si è affacciata per la prima volta qui sul blog la figura di un Re in carne e ossa: il Re in Giallo.
(*) Nota: La volta scorsa riportai in chiusura di articolo un piccolo estratto dal decimo capitolo del “Dorian Gray” invitando i miei lettori ad indovinarne la provenienza: nonostante i pochi indizi l’amico Marco Lazzara, complimenti a lui, ha centrato la soluzione al primo tentativo.
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