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Il Riposo della Polpetta

Da Bloody Ivy
Massimo Montanari, Il riposo della polpetta e altre storie intorno al ciboMassimo Montanari, Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo

Il Riposo della Polpetta è una raccolta di circa 200 brevi articoli scritti nell’arco di 5 anni da Massimo Montanari e apparsi sul mensile “Consumatori”, rivista dei soci Cooop, sulle pagine domenicali di Repubblica, nonché pubblicati anche in altre sedi.
Massimo Montanari è un medievalista, docente ordinario presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, dove insegna Storia medievale e Storia dell’alimentazione; direttore del Master Europeo in Storia e cultura dell’alimentazione e insegna presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. E’ un esperto dell’alimentazione a livello mondiale che studia ed analizza l’influenza della cultura gastronomica sulla società, dallo sviluppo economico all’organizzazione sociale, dalla mentalità ai valori culturali. La storia dell’alimentazione intesa come chiave per comprendere la società nel suo insieme.
 E’ autore fecondo di saggi e libri.

Dice Montanari: “Un’idea a cui sono particolarmente affezionato è che le pratiche di cucina non solo costituiscono un decisivo tassello del patrimonio culturale di una società, ma in molti casi rivelano meccanismi fondamentali del nostro agire materiale e intellettuale. La cucina può così essere assunta come metafora della vita — a meno che non ammettiamo che la vita stessa sia metafora della cucina”.

Nell’introduzione spiega da dove salta fuori questo titolo bizzarro, Il riposo della polpetta. Un giorno, aveva appena terminato di preparare le polpette assieme alla moglie Marina, e pensava fossero pronte per la cottura, ma lei gli ricorda che bisogna lasciarle riposare, per dar modo che tutti gli ingredienti si amalghino fra di loro rendendole più saporite. Un po’ come i pensieri che nascono grazie a tanti ingredienti, sollecitazioni da fuori, illuminazioni da dentro. La cucina come il luogo ideale per allenare la mente e i pensieri che, alla fin fine sono come le polpette, perché se aspetti un po’,  lasciandoli amalgamare, ragionandoci su con calma prima di esporli, vengono meglio.

Qualche sera fa, in cucina, facevamo le polpette. Carne bollita di manzo, cardi lessati, parmigiano, pangrattato, due uova, sale, pepe. Terminato l’impasto, modelliamo le polpette e le sistemiamo per bene su un piatto. A questo punto Marina raccomanda: “Ora, prima di cuocerle, le lasciamo riposare un paio d’ore, così si rassodano e si amalgano bene.”
Ho pensato che il riposo delle polpette assomiglia molto a quello che succede nella nostra mente quando elaboriamo le idee. Le idee sono il risultato di esperienze, incontri, riflessioni, suggestioni: tanti ‘ingredienti’ che si mettono insieme e poi producono pensieri nuovi. Ma prima che ciò accada è utile far riposare quegli ingredienti, dargli il tempo di depositarsi, amalgamarsi, rassodarsi. Il riposo delle polpette è come il riposo dei pensieri: dopo un po’, vengono meglio.

Vincent Van Gogh - I mangiatori di patate (1885)Vincent Van Gogh – I mangiatori di patate (1885)

E’ un libro a carattere divulgativo, sono articoli leggeri, brevi e scritti con humor, come i giornali dove sono stati pubblicati richiedevano, ma ugualmente seri e interessanti. Gli argomenti sono cibo, cucina, alimentazione e tutto ciò che ruota attorno, dalla politica alla cultura alla società alla religione all’ideologia.
Il cibo, sostiene Massimo Montanari, è senza dubbio un’idea, un segno della propria identità che però non è definita ed immutabile ma costantemente in fieri, e influenzata da altre culture.
La stessa dieta mediterranea è una realtà che si è costruita nel tempo, modificata nel tempo e nel tempo si trasformerà perché è un fenomeno di fusioni. Gli spaghetti al pomodoro sono italiani ma di un’identità italiana contaminata da un prodotto che viene dall’America e un altro dalla cultura araba. 

Il Riposo della PolpettaRamstein – mein teil
“denn du bist, was du isst”
(perché tu sei quello che mangi)

Persino il detto “L’uomo è ciò che mangia” è interpretabile a seconda delle culture o del proprio modo di pensare. Io, per es., penso per prima cosa ai neurotrasmettitori in grado di influenzare comportamento, emozioni, carattere… tipo il cioccolato fondente, fonte di serotonina,  in grado di coinvolgere il sistema nervoso agendo sui neuroni che utilizzano la serotonina provocandoti bei pensieri e buon umore (“Ma com’è che su te non funziona? C’hai un caratteraccio!“… sì perché la caffeina ne annulla gli effetti e io, volontariamente ma non a questo proposito, bevo quotidianamente almeno un litro di caffè); uno psicologo studierebbe ciò in base ai vissuti emotivi; un medievalista come Montanari ci ricorda che nella cultura medievale è lo statuto sociale della persona a decidere le scelte alimentari. Il tipo di cibo (pane bianco invece che pane d’orzo e pani scuri, frutta invece che verdura, carne invece che pesce, spezie invece che sale, arrosto piuttosto che bollito) serve a distinguere le persone in contadini, cittadini, guerrieri, monaci, signori, vescovi, principi e re, perché nel medioevo c’è una cultura alimentare dove ogni cibo è un rilevatore di identità sociale. Dimmi cosa mangi e ti dirò a quale ceto sociale appartieni.

Il riposo della polpetta – Incipit

Essere e mangiare

Un filosofo tedesco dell’Ottocento, Ludwig Feuerbach, scrisse una frase destinata a grande fortuna, che sentiamo spesso ripetere: “L’uomo è ciò che mangia”. Voleva dire che l’identità dell’uomo non dipende da identità astratte, ma coincide con la sua corporeità, dunque col cibo che giorno dopo giorno viene immesso nel suo corpo per farlo vivere e funzionare. Feuerbach esprimeva una concezione radicalmente materialistica dell’uomo e del mondo, riconducendo tutta la realtà, sia le cose, sia le idee, alla loro dimensione concreta.

Feuerbach, naturalmente, scriveva in tedesco. E in tedesco la famosa frase possedeva una sfumatura particolare, intraducibile nelle altre lingue: in tedesco, infatti, la terza persona singolare del verbo essere e la terza persona singolare del verbo mangiare sono molto simili nella scrittura e quasi identiche nella pronuncia: ist (con una esse) vuol dire “è”; isst (con due esse) vuol dire “mangia”. Allora, la frase è anche un gioco di parole: Mann ist, was er isst, a leggerla, vuol dire “L’uomo è ciò che mangia”; a dirla, sarebbe come: “L’uomo è ciò che è”, oppure: “L’uomo mangia ciò che mangia”. Ciò che viene suggerito in maniera ancora più forte e paradossale di quanto non appaia in traduzione, è una perfetta identità fra le due cose: essere e mangiare.

Ma in questo modo la frase funziona anche a rovescio. Invertendo i due verbi, la pronuncia resta la stessa ma il significato diventa: “L’uomo mangia ciò che è”. Dunque il filosofo tedesco, mentre proclama la supremazia della materia come unica vera realtà, al tempo stesso dichiara che questa materia contiene le idee, i pensieri, la cultura dell’uomo. “L’uomo mangia ciò che è” vuol dire che il cibo, a cui è legata l’identità dell’uomo, non è semplicemente un oggetto nutritivo, bensì una realtà ricca di valori, di simboli di significati, elaborati dagli uomini e dalle donne che quel cibo hanno prodotto e preparato, Una realtà – in una parola- culturale.

Il panettone non è solo un composta di farina, zucchero, uva passa, canditi, Il panettone è anche l’idea del Natale. E quell’idea che l’hanno messa dentro gli uomini, per consumarla assieme alla farina e ai canditi che essi stessi hanno fabbricato. Quell’idea è indissolubile dalle cose che la esprimono. Quell’idea non sarebbe possibile in una società in cui – mettiamo – lo zucchero, l’uva passa e i canditi fossero cibi comuni, la base della dieta quotidiana.

Ludwig Feuerbach ci insegna che non esistono simboli senza materia, ma neppure materia senza simboli. Per questo, quando parliamo di cibo e cultura, non parliamo di due realtà diverse, separate o magari contrapposte, ma di una realtà unica: il cibo è cultura.

qui uno degli articoli presenti nel libro

qui il libro – Massimo Montanari – Il riposo della polpetta – Laterza 2011

qui – Massimo Montanari dove in meno di 3 min di video  sintetizza all’osso  il perché non bisogna far sapere al contadino quant’è buono il formaggio con le pere, argomento di un altro suo libro Il Formaggio con le pere. Storia di un proverbio 

Bloody Ivy


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