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Il risveglio di Bosnia. Rivolte sotto il segno dei Plenum

Creato il 20 febbraio 2014 da Gianluca Pocceschi @geopolitiqui

Perché qui non ci sono storie di sesso nelle aziende pubbliche oppure tra gli uffici governativi?

La risposta è strana, ma semplice. Perché il rampante nepotismo significa che sono tutti parenti.

Domanda e risposta di un manifestante bosniaco al settimanale britannico The Economist.

Le proteste, che sono cominciate nella città della Bosnia settentrionale di Tuzla il 4 febbraio scorso e si sono diffuse nel resto del paese, sono piene di questi slogan di disagio. Potrebbero fare cilecca , ma sono sicuramente un segnale importante sull’inizio della fine del sistema di governance uscito dalla guerra.

Parte del problema è legato agli accordi firmati nella base americana di Dayton 18 anni fa da presidenti morti e sepolti, non solo politicamente, sotto l’egida di un’Europa lontana guidata dagli Stati Uniti in cerca di successi.

Così, Franjo Tudjman, presidente della Croazia, Slobodan Milosevic, presidente dell’allora Repubblica federativa di Jugoslavia, e Aljia Izetbegovic, presidente della repubblica di Bosnia – Erzegovina, firmarono questo accordo con la formula del negoziato ad oltranza (in poche parole negoziato ad oltranza vuol dire “non si esce di qui finché non troviamo un accordo”).

Pertanto, i primi giorni di novembre del 1995, la fretta e la necessità di trovare una  pace crearono una Bosnia divisa in due entità (più un distretto autonomo di Brcko); un paese “a formato nazionalista” da una parte la federazione Bosniacco – Croata (etnie una volta alleate di guerra contro i serbi ) e dall’altra la Repubblica Srpska, principalmente abitata da serbi.

La soluzione trovata portava in dote evidenti contraddizioni che già erano emerse con le proteste di Sarajevo del 1992 silenziate dai fucili dei cecchini. In quel lontano anno antecedente alla guerra, le manifestazioni erano mosse da un sentimento anti – nazionalista.

La guerra e gli accordi di Dayton sembravano aver fatto terra bruciata intorno ai quei principi finché non sono arrivate le veementi e chiaramente anti – nazionaliste sommosse di Tuzla.

Non è una sorpresa che i bosniaci sono arrabbiati. Dopo 18 anni dalla fine della guerra, i cittadini della Bosnia – Erzegovina sono poveri, i politici sono ricchi e la corruzione è dilagante.

Per lavorare come addetto alle pulizie all’ospedale di Tuzla, l’attuale salario medio è di 2.000 euro all’anno. Per un lavoro come impiegato in una delle principali compagnie telefoniche bosniache è mediamente di 10.000 euro. La disoccupazione si attesta intorno al 27% sebbene il lavoro nero aiuta a ribassare questo triste dato.

La federazione bosniacco – croata è divisa in 10 cantoni che esprimono le istituzioni locali. Il risultato è un sistema che paga fior di stipendi ai politici e agli impiegati pubblici in una regione di 3,8 milioni di persone dove qualcuno afferma, basterebbe per amministrarla un solo sindaco.

Il rifiuto a questa situazione viene espresso dai cosiddetti plenum che stanno prendendo piede in tutta la Bosnia  La base di partenza è il plenum di Tuzla dove affamati cittadini, operai disoccupati e intellettuali di ogni etnia scollegati dal potere politico domandano riforme.

L’11 febbraio scorso membri eletti dell’assemblea cittadina hanno incontrato i rappresentanti del plenum di Tuzla per discutere dell’ idea di un governo con nessun “esperto” politico. Una partecipazione politica attiva a lungo bistrattata che ha permesso nel caso dell’etnicamente troppo divisa cittadina di Mostar, di unire Croati e Bosniacchi (bosniaci di fede musulmana) per lavorare insieme intorno al plenum cittadino.

Se i plenum svilupperanno le loro radici, se questi nuovi leader emergeranno e se le loro richieste saranno realistiche, qualcosa potrebbe cambiare. Anche negli passati i leaders bosniaci hanno flirtato con il consenso promettendo minime riforme costituzionali  mentre di fatto evitavano di sviluppare programmi seri di cambiamenti economici e sociali. “Questa volta non sarà la stessa storia” promette Damir Arsenjievic un attivista e ricercatore dell’Università di Tuzla al settimanale britannico The Economist.

Potrebbe essere troppo presto per parlare di una Primavera di Bosnia. Ma siamo ancora solo a febbraio.

Nella foto manifestante a Tuzla. Credit by suffragio.org


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