Elia Malagò definisce quest'ultima raccolta di poesie, Golena (LietoColle), il "diario di un dolore" le cui vibrazioni, in un certo senso, accarezzano i luoghi vivi nella memoria e negli occhi. D'altronde è dal lontano 1967, quando Elia Malagò aveva appena diciannove anni, con l'opera d'esordio Ci dev'essere un posto (Città di Vita), che lei ha questo rapporto strettissimo con la poesia.
In una nota che chiude la raccolta la Malagò spiega che " la Golena è quella striscia di terra tra un arginello di contenimento di Po - che è sempre letto suo - e l'argine maestro, quello che difende i nostri paesi della bassa - bassa dall'acqua che è più alta delle case", ribadendo la sua appartenenza a dei luoghi che sicuramente fanno parte del patrimonio della sua memoria.
E sono proprio questi luoghi, quando i dolori ti impiccano e una parola non sale, l'unico rifugio sicuro ...
" cristalli e rami negli occhi s'affiancano/ per via e accompagnano a lungo tanto che alla fine/ ti abitui. Non è che non li vedi.// Mai nel cuore di alcuno abbastanza/ da vederne lo stringimento/ quando arrivi sull'asse che porta/ e afferra il ventricolo in una morsa/ addolcisce il pianto e si scioglie nel passaggio un poco più lento/ del filo d'ombra degli occhi/ - un ramo di pioppo naviga piano verso l'ansa" ( corpi mobili).
Il ritmo del fluire della corrente come della vita. Uguali ai rami andiamo trascinati dal tempo, consumati dal dolore.
Una poesia che sicuramente fa riflettere questa di Elia Malagò.