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Tomas Milian non ha certo bisogno di presentazioni: oltre cinquant’anni di carriera cinematografica, un’impressionante abilità nel reinventarsi in ruoli sempre diversi, una lunga serie di successi al botteghino e una vasta schiera di appassionati che intorno a lui ha creato un vero e proprio fenomeno di culto.
Ma se del «Monnezza», il suo personaggio più conosciuto, si sa tutto (o quasi), dell’uomo dietro alla maschera si sapeva ben poco (almeno, per chi non si era abbeverato delle poche ma corpose interviste rilasciate da Milian sui magazine specializzati in questi ultimi anni). Nelle pagine del nuovo, lussuoso volume il grande attore cubano racconta - per la prima volta ad un pubblico mainstream - la propria infanzia, il trauma di un bambino che assiste al suicidio del padre, la giovinezza da playboy nella Cuba bene, la scoperta del cinema, la fuga negli Usa, l'Actor Studio e la difficile vita da «uomo da marciapiede» a New York, l’arrivo in Italia e tutto quell’incontrollabile flusso di eventi che ha portato un giovane attore senza radici a lasciar naufragare il suo sogno hollywoodiano per trovare l'America nel Belpaese.Messa da parte la goduria estrema per il prodotto, dopo la rapida lettura delle quasi trecento pagine s'intuisce facilmente quale possa essere stato il problema nella stesura definitiva di questa biografia, a lungo annunciata e rimandata di continuo: ebbene lo straordinario attore redige il proprio autoritratto ostinandosi a dialogare con la sua più famosa creatura (che essendo un borgataro, parla quindi in romanesco stretto) e se lo scambio all'inizio risulta simpatico alla lunga mette il lettore in una condizione di sgradevole forzatura che non giova alla caratura del racconto.Inoltre, il narcisismo dichiarato di Milian (è un problema comune nelle autobiografie di attori) sovente inceppa la linearità degli episodi narrati, impedendo a chi vorrebbe saperne di più sul suo cinema ("quel" cinema, che era il nostro migliore, quello che all'estero ci copiavano) di inquadrare il periodo, i set, le contaminazioni filmiche e la speciale allure che impregnava Cinecittà e la capitale tutta in quel periodo. Ma resta una testimonianza unica, forse il classico topolino partorito dalla montagna, ma un topolino tremendamente simpatico con barba e boccoli alla Serpico che cerca di continuo rime con la parola "Galeazzo".
Monnezza amore mio - Tomas Milian (Ed. Rizzoli)
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