Il ritorno del “Pale Emperor” Marilyn Manson

Creato il 19 gennaio 2015 da Wsf

Gioite, oh stolti! Il Reverendo è tornato, e stavolta con buone intenzioni (per quanto l’aggettivo buono possa essere associato a lui). Sono lontani i tempi di tempi di “Antichrist Superstar” e “Holy Wood” ma, fortunatamente, lo sono anche quelli di “The high end of low” (album di cui avevo completamente dimenticato l’esistenza prima di scrivere questa recensione, per dirvi quanto fosse memorabile) e di “Born Villain”, di cui si salva solo il video/promo diretto da Shia LaBeouf. E se di un album si salva solo il video diretto da qualcun altro non c’è molto da fare: o stacchi la spina o risali la corrente.

Manson sembrava chiaramente spacciato, rinchiuso nell’ombra della parodia di se stesso, perso fra un tentativo di disintossicazione e l’altro, e la prima opzione sembrava ormai evidente. Ha cominciato a non farsi più vedere in giro, e altri hanno cercato di prendere il suo posto nell’olimpo dei maledetti del rock. Sembrava finita, e l’annuncio di un nuovo album non aveva convinto quasi nessuno. Ci si aspettava l’ennesima delusione; ma dopo tre anni di solitudine, raccoglimento e lavoro, sembra che il tanto atteso ritorno sia definitivo.

Fra i richiami del passato, nel nuovo “The Pale Emperor” c’è solo una leggera impronta della raffinatezza di “Mechanical Animals”, che rimane il suo album più elegante. “The Pale Emperor” richiama quell’eleganza, ma è più maturo e al tempo stesso più rozzo. È come se Manson, abbandonato del tutto l’omonimo gruppo e rimasto solo a confrontarsi con se stesso, abbia deciso tornare alla sua forma primaria portando con sé tutta l’esperienza degli ultimi vent’anni di musica. Ha eliminato i rami secchi, tolto il superfluo, e lavorato strenuamente su quello che restava.

In “The Pale Emperor” la maturità musicale raggiunta da Manson è evidente, così come lo è la voglia di continuare a fare bella musica. L’unico difetto di “The Pale Emperor” è che è troppo breve quando, arrivati alla fine, se ne vorrebbe sentire ancora. Non ci si sazia facilmente. Oggettivamente è un bell’album, pieno e profondo, che non toglie nulla alla figura del Reverendo, anzi: lo risana, curando i danni del passato. E per i vecchi fan vedere il proprio idolo tornare alla grande non può che essere una gioia. Risalendo dalle ceneri della spirale discendente in cui stava sprofondando, Manson sembra quasi lanciare un monito ai suoi imitatori; sembra quasi dire: “Sì, bambini, siete tutti molto belli mentre cercate di fare le rockstar maledette con i vostri tatuaggetti gotici e i vostri vestiti neri… ma il Re, l’Imperatore, sono solo io.”

Ps
Un ultimo appunto personale: Deep Six è un ottimo singolo ma il video ufficiale, qui linkato, è brutto brutto brutto. Ma fra un album di cui rimane memorabile solo un video (il sovracitato “Born Villain”) e un video di cui è memorabile solo la canzone, sinceramente, preferiamo il secondo.

Daniela Montella


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