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I dischi di gennaio 2015

Creato il 29 gennaio 2015 da Cannibal Kid
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L'anno scorso ero partito a mille. Avevo fatto il post dei dischi del mese di gennaio e pensavo di farlo diventare un appuntamento mensile. Solo che poi dimentico le cose e non sono costante con le rubriche fisse, quella delle uscite cinematografiche co-condotta con Ford a parte, e quindi è andato tutto a putt... è sfumato tutto. Quest'anno ci riprovo, più convinto che mai e chissà che non riesca a farlo diventare un appuntamento abituale. Via quindi alla rubrica dedicata ai dischi del mese ascoltati qui su Pensieri Cannibali, e vediamo se questa volta dura.
Bjork “Vulnicura” I DISCHI DI GENNAIO 2015
Com'è il nuovo disco di Bjork, uscito in anticipo di due mesi per colpa o per merito del leakkaggio selvaggio su Internet? Bello? Brutto? Nessuna delle due, più che altro è... noioso. Il momento migliore di "Vulvicura" “Vulnicura” è il pezzo d'apertura “Stone Milker”, che sembra quasi una rilettura della stupenda “Joga”. Erano anni che la cantante islandese non tirava fuori un brano tanto spettacolare ed emozionante ed è un pezzo che da solo vale più dell'intera carriera di molti artistucoli. Peccato solo che nel resto del disco di altre canzoni come questa non ce ne siano. Anzi, non ci sono altre canzoni. Non canzoni vere e proprie. Il resto del menù è un pesante ammasso di pezzi eccessivamente e inspiegabilmente diluiti, come un caffé o, peggio ancora una birra, allungati con acqua. Eresia! Una pesantezza che raggiunge il suo culmine nei 10 estenuanti minuti di “Black Lake” e negli 8 ancora più micidiali minuti di “Family”. I brani possiedono anche un loro fascino e il ritorno alle sonorità di “Homogenic” e “Vespertine”, due album che adoro con tutto me stesso, è apprezzabile. Solo che si affoga nella noia. Bjork, ti prego, torna a scrivere delle canzoni. Delle maledette splendide canzoni e basta. Capisco che questo sia il tuo “album della rottura”, visto che è incentrato sulla fine della tua lunga relazione con il regista e scultore Matthew Barney, però, perdonami se te lo dico, sembra più che altro un album da rottura... di palle. (voto 6/10)

Sleater-Kinney “No Cities to Love” I DISCHI DI GENNAIO 2015
I ritorni mi fanno sempre una fottuta paura. Le Sleater-Kinney, uno dei gruppi simbolo dell'alternative rock degli anni '90, non facevano un disco da 10 anni e temevo che il loro nuovo lavoro si sarebbe rivelato una delusione cocente, come capitato l'anno scorso con i Pixies. Per fortuna mi sbagliavo. Le Sleater-Kinney hanno tirato fuori il comeback perfetto. “No Cities to Love” sembra il disco d'esordio di una band di giovani sbarbatelle, eppure allo stesso tempo è un lavoro che mostra una maturità compositiva notevole. Un album tiratissimo, cazzuto, che suona come le Sleater-Kinney di una volta e contemporaneamente suona nuovo. Un ritorno di cui non avere una fottuta paura, ma da suonare a un volume da fottuta paura per i vicini di casa. (voto 8/10)

Fall Out Boy “American Beauty/American Psycho” I DISCHI DI GENNAIO 2015
Il nuovo disco dei Fall Out Boy è una parata spudorata del rock più da stadio e più commerciale che si possa immaginare. Un loro nuovo pezzo, “Immortals”, è stato persino usato all'interno dell'ultimo poco riuscito film Disney Big Hero 6 e l'album nel complesso è pieno di ritornelli ruffiani e coretti da cantare in coro. Con tali premesse, un disco del genere aveva tutte le carte in regole per farsi odiare dal sottoscritto, invece no. Questo album è talmente l'apoteosi del rock più mainstream oggi immaginabile da finire con l'essere “Irresistible”, come dice il titolo del brano d'apertura. Come potrei poi odiare un disco che nella title track cita due capisaldi della cultura cannibale come American Beauty e American Psycho? E come potrei odiare un brano come “Centuries” che campiona in modo tanto paraculo quanto efficace il “do do do do do do do do” di “Tom's Diner” di Suzanne Vega? E Come potrei odiare un pezzo come “Fourth of July” che sembra la rilettura in chiave rock di “Firework” di Katy Perry? E come potrei odiare un album che contiene una canzone tarantiniana come “Uma Thurman”, un brano che ricorda qual è il compito numero 1 della musica rock'n'roll, quello che negli ultimi anni in molti hanno dimenticato: far muovere i culi! “Uma Thurman” è uno dei pochissimi pezzi rock recenti che oggi potrebbero tranquillamente essere suonati in discoteca, senza provocare uno svuotamento della pista di massa. La loro non sarà la musica più indie, raffinata o ricercata in circolazione, assolutamente no, ma le nuove canzoni dei Fall Out Boy mi fanno lo stesso effetto della siringa sparata nel cuore a Uma Thurman in Pulp Fiction. Una botta di adrenalina. (voto 7/10)

Belle and Sebastian “Girls in Peacetime Want to Dance” I DISCHI DI GENNAIO 2015
I Belle and Sebastian sono sempre stati sinonimo di un certo indie-pop delicato, lieve, gentile, dalle influenze 60s tanto nella musica quanto nell'immaginario visivo. Il leader del collettivo scozzese ci ha di recente offerto anche un corrispettivo cinematografico delle canzoni della band con il musical alternativo God Help the Girl, acerba quanto deliziosa pellicola che ha segnato il suo esordio dietro la macchina da presa. Dopo l'esperienza nel mondo del cinema, Murdoch all'interno del nuovo album del suo gruppo sembra muoversi come un'anima in pena alla ricerca di suoni e stimoli differenti. Ciò si traduce in un disco indeciso tra seguire il vecchio percorso della band e cose del tutto originali, almeno per loro. “Girls in Peacetime Want to Dance” è allora un lavoro con dentro idee e pezzi interessanti, con suoni tra pop puro e tentazioni danzerecce alla Pet Shop Boys, ma resta incerto su quale direzione prendere e non convince fino in fondo. Il classico disco di transizione, ma ad avercene, di transizioni così. (voto 6,5/10)

Marilyn Manson “The Pale Emperor” I DISCHI DI GENNAIO 2015
Marilyn Manson può ancora essere considerato uno spauracchio? Una rockstar spregiudicata? Un nemico pubblico per i benpensanti, la cosiddetta beautiful people? No, ormai Marilyn Manson è entrato nell'immaginario collettivo come icona della pop culture, come il protagonista di un film horror alla Freddy Krueger o alla Michael Myers che una volta terrorizzavano e oggi fanno più che altro simpatia. L'avreste mai detto, una ventina d'anni fa, ai tempi di “Antichrist Superstar”, che Marilyn Manson sarebbe diventato un personaggio tanto simpatico quanto innocuo? Le cose eppure sono andate così e il buon Manson, da non confondere con quello tutt'oggi cattivo, ha tirato fuori un disco che è esattamente come il nuovo episodio di una saga horror già nota. Dentro c'è tutto quello che ci si aspetta, ci sono i ritmi alla “The Beautiful People”, le chitarre in odore di metal ma non troppo, la sua inconfondibile voce tenebrosa eppure ormai non così inquietante, e c'è pure qualche canzone non male come la tirata “Deep Six” e la già familiare “Cupid Carries a Gun”, usata in versione strumentale come sigla della serie Salem. C'è un po' tutto quello che ci si può aspettare da un suo disco, insomma. A mancare è giusto anche solo un vago effetto sorpresa. E quell'antico senso di trasgressione che si provava una volta ascoltandolo. (voto 6-/10)

Carmen Consoli “L'abitudine di tornare” I DISCHI DI GENNAIO 2015
Per Carmen Consoli può valere un discorso simile a quello di Marilyn Manson. Non che lei sia mai stata così “satanica”, però negli anni '90 era un po' la nostra Courtney Love... ah no, quella era Asia Argento. Carmen in ogni caso era una rockstar, una delle poche nella nostra Italietta. Poi cos'è successo? Il tempo, come per tutti, è passato e la Consoli si è dedicata a un songwriting più quieto e a un suono meno confuso e più felice. Il nuovo “L'abitudine di tornare” prosegue su questa linea e propone una raccolta di canzoni pop-rock raffinate e gradevoli. Si fa tutto ascoltare con piacere, a meno che non siate tra quelli a cui la voce di Carmen provoca l'orticaria, solo che non c'è la scossa, non c'è l'eccitazione, non ci sono quei suoni che fanno storcere il naso ai genitori. Adesso la neomamma Carmen Consoli con “Sintonia imperfetta”, che cita il pezzo anni '40 “Voglio vivere così” di Ferruccio Tagliavini, potrebbe piacere persino ai nonni. Il problema del rock di oggi, o di quel che ne è rimasto, è questo. Non dà più fastidio a nessuno, e questo non è bene. Per fortuna ci restano ancora le Sleater-Kinney. (voto 6/10)

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