STENDI IL TUO MANTO, MARIA!
- Produzione e riproduzione nella crisi del capitalismo -
di Roswitha Scholz
Nota preliminare: il presente testo è stato pubblicato nel giugno 2010 sul n° 36 della rivista di Lipsia, "Phase 2", il cui tema è "la questione dell'idea del comunismo nel presente", dove, per mezzo di più contributi, si cerca di chiarire anche il concetto di "riproduzione".
1. Dopo la svolta culturale, e la fobia nei confronti della critica radicale dell'economia a tale svolta associata, i diversi marxismi, a partire dalla fine del decennio 1990, hanno avuto un nuovo slancio, in parallelo con il collasso dovuto ad una crisi non proprio attesa. Anche la teoria femminista non è rimasta immune rispetto a questa situazione. Frigga Haug svolge giri di conferenze; nel 2009 un'edizione della rivista Argument viene dedicata al tema "Elementi di un nuovo femminismo di sinistra". Nancy Fraser proclama: "Donne, pensate economicamente". E anche le femministe (ex?)-decostruttiviste ora esigono che si affronti l'oppressione delle donne nel contesto della critica del capitalismo.
Di colpo anche la buona e vecchia relazione fra "produzione" e "riproduzione" riemerge come spiegazione per la maggior parte delle relazioni di genere; spiegazione che da molto tempo era stata scartata in quanto modello dualista. Ora torna al suo posto, anche nel pensiero femminista "queer". Per esempio, in Gabriele Winkler: "Con l'emergere delle strutture capitalistiche nella storia concreta, una gran parte del lavoro riproduttivo viene ad essere realizzato fuori dal sistema della valorizzazione capitalista, nelle famiglie eterosessuali e soprattutto dalle donne." E' curioso: nel "recente e piacevole percorso" (Adorno), argomenti femministi marxiani, che sembravano ormai mezzo dimenticati, ora vengono evidentemente mischiati con i modelli del pensiero decostruttivista; e questo nonostante che, nel decennio del 1990, ci sia stata una polemica fra le vecchie femministe "materialiste" e le post-femministe (de)costruttiviste.
Quando - senza che ci sia una grande attualizzazione - si rende necessario affrontare in maniera immediata il problema di sapere "che cosa fare nella pratica" della crisi, allora ecco che ultimamente si uniscono, all'improvviso, le critiche "queer" (diventate "critiche dell'economia) con un presunto nuovo concetto di "beni comuni", con l'ideologia dell'open source svolta secondo il modello del software "libero" e perfino con un'inquietante "economia solidale". "Piccolo è bello", torna ad essere la parola d'ordine che pretende di segnare il passaggio verso condizioni completamente differenti. Quello che rimane del postmodernismo, nel "ritorno dell'economia", è la cancellazione della totalità negativa. La "società" è "out" e la "comunità", nelle diverse varianti, è "in". Le critiche precedenti alla ristretta ideologia alternativa della comunità, ora vengono messe da parte. In questo auto-oblio e auto-repressione, le persone, in qualche modo, si permettono la fase di una seconda innocenza.
2. In tali contesti anche i cliché della mia critica della dissociazione e del valore svolgono un determinato ruolo, che le viene attribuito - contro la sua stessa volontà - circa i concetti suppostamente nuovi di relazione di produzione (capitalista) e di relazione di riproduzione che in quella non vengono assorbiti. Pertanto, bisogna cominciare a rivedere alcuni punti chiave della critica della dissociazione e del valore, al fine di relazionarli con le tendenze recenti.
Come è già suggerito dal nome, la questione riguarda il fatto che le attività riproduttive definite come essenzialmente femminili - ed anche le attitudini corrispondenti (come accudire, ecc.) e le qualità rese inferiori, come emozione, sensualità, ecc. - sono state dissociate dal valore e dalla sua sostanza, ossia, dal lavoro astratto, e sono state attribuite alle "donne". Queste attribuzioni caratterizzano, nella loro essenza, l'ordine simbolico del patriarcato produttore di merci. Ci si riferisce, perciò, ad una faccia della socializzazione capitalista che non può essere compresa per mezzo degli strumenti concettuali di Marx. Questa faccia, che viene imposta insieme al valore, fa necessariamente parte della socializzazione capitalista; d'altra parte, però, si trova al suo livello esterno, essendo, nondimeno, un suo presupposto. Valore e dissociazione stanno, quindi, in una relazione dialettica reciproca. Uno non può essere il derivato dell'altro, ma uno risulta dall'altro. E' proprio in questo senso che si può riuscire a comprendere la socializzazione feticistica, e non solo sulla base della relazione di valore.
Ora, per il contesto qui in causa, è decisivo che la relazione di dissociazione - in quanto l'Altro della relazione di valore - è, proprio come quest'ultima, definita ad un alto livello di astrazione nell'insieme della società, storicamente e negativamente. E' un principio sociale a tutti i livelli ed in tutte le aree, dal momento che non può essere separato meccanicamente nelle sfere, pubblica e privata, di produzione e riproduzione. E' vero che include attività riproduttive che non sono coperte dal lavoro astratto, ma va oltre questo. E' quello che si rileva nel processo storico interno della dissociazione e del valore. Le donne oggi sono "doppiamente socializzate", come dice Becker-Schmidt, cosa che altera anche i percorsi biografici. Ossia, anche se le donne sono state integrate in gran parte nella società "ufficiale" del lavoro astratto e della sfera pubblica borghese, continuano ad essere responsabili della casa e dei figli, devono lottare più degli uomini per raggiungere posizioni superiori e in media guadagnano meno degli uomini, anche se hanno un uguale livello di istruzione. La struttura della dissociazione e del valore è cambiata, ma sostanzialmente è rimasta la stessa.
Anche partendo dallo sviluppo più recente della relazione sociale totale, si può concludere che la dissociazione è un momento della socializzazione negativa. Le vecchie idee borghesi di genere non sono più appropriate per il "turbo-capitalismo", con la sua esigenza di rigorosa flessibilità, che porta alla formazione di identità flessibili compulsive, che tuttavia continuano a presentarsi come specifiche di genere in diversi modi, anche se la vecchia immagine della donna è diventata obsoleta. Inoltre, le analisi sul tema della globalizzazione e della relazione di genere suggeriscono la conclusione per cui - dopo un certo tempo in cui poteva sembrare che fosse un fatto che le donne avessero conquistato più spazio libero nell'immanenza del sistema - simultaneamente si è arrivati ad un "inselvatichimento del patriarcato", con nuove forme di sessismo nel contesto della globalizzazione.
La dissociazione-valore in una certa misura si distacca dai rigidi posizionamenti istituzionali della famiglia e del lavoro retribuito, benché la gerarchia di genere non sparisca a fronte dello smantellamento dello Stato sociale e delle misure coercitive dell'amministrazione di crisi. Qui le vecchie strutture emotive vengono riconfigurate. In caso contrario le donne non continuerebbero ad assumersi, come prima, le attività di riproduzione dissociate e le relative attribuzioni; ruolo, ad esempio, effettivamente svolto dall'ex-ministra della Famiglia, von der Leyen, che, ripetutamente madre, era inoltre, allo stesso tempo, medico, membro del governo, si prendeva cura dei genitori, e molto altro. Dall'altro lato, si assiste ad una rinnovata regressione all'immagine tradizionale della donna, anche nel caso di donne mediatiche di carriera come Eva Herman, la quale ha proclamato ancora una volta "Il principio di Eva"; che è diventato un best seller. Identità profondamente radicare nella struttura di base del capitalismo, non possono, ovviamente, essere decostruite superficialmente, com’era sembrato ad alcune ricercatrici di genere. La "doppia socializzazione" delle donne, paradossalmente è funzionale. Così, ad esempio, i gruppi di aiuto al Terzo Mondo dell'amministrazione di crisi sono appoggiati principalmente da donne, mentre, allo stesso tempo, bisogna dire che in tempi di "just in time", le attività di riproduzione sono rimaste generalmente ancora più indietro rispetto a prima, e vengono attribuite alle donne doppiamente socializzate, come una sorta di spazzatura.
Questo schema mostra già che la dissociazione non può essere intesa come "avanzo" ontologico, e neppure come "area" delimitata, e ancora assai meno come un momento positivo o come una "anticipazione" o "modello" di strutture non capitaliste o post-capitaliste. Al contrario, viene determinata in modo storico e capitalista, proprio come il lavoro astratto ed il valore e, di conseguenza, dev'essere ugualmente eliminata. Pertanto, la struttura della dissociazione è essenzialmente parte della dinamica capitalista.
3. Il riferimento della critica della dissociazione e del valore al femminismo marxiano è stato fondamentalmente critico, ma ha anche avuto dei legami con questo. Con Frigga Haug, il patriarcato produttore di merci viene inteso come modello di civilizzazione, ivi comprese le strutture emozionali e simboliche. Al di là di Frigga Haug, questo significa che non sono le definizioni normative della mascolinità e della femminilità ad essere essenziali, come avviene nella concezione (de)costruttivista. Al contrario, le capacità e le volontà di esecuzione sono definite anche da una razionalità economica specifica, dalle strutture oggettive del contesto globale, dai suoi meccanismi e dalla sua storia, così come avviene per la maggior parte delle azioni degli individui. Si potrebbe così parlare di sesso maschile accentuato - che è il sesso del capitalismo - nella misura in cui una versione dualistica della mascolinità e della femminilità in forma gerarchizzata costituisce la concezione dominante di genere nella modernità in generale. In tale contesto, prendo anche la tesi di Frigga Haug per cui nella modernità, da un lato, esiste una "logica di risparmiare tempo", che viene soprattutto attribuita alla sfera della produzione o alla "logica di sfruttamento dell'economia d'impresa" mentre, dall'altro lato, esiste una logica di "perdere tempo", che corrisponde al dominio della riproduzione (cure, attenzioni, ecc.).
Ciò che è problematico con Frigga Haug, tuttavia, è che la relazione di genere viene percepita come una "relazione di produzione" sui generis, e la sua "logica" propria viene percepita, per così dire, solo fenomenologicamente, e viene messa al livello delle categorie di base della forma sociale, con sullo sfondo ipotesi precedenti al vecchio marxismo. E' in primo luogo l'ontologia del "lavoro" del marxismo tradizionale ad essere responsabile di questo; situazione in cui la critica femminista viene a trovarsi, in un certo qual modo, contrabbandata all’interno di un contesto sistemico sovrastante che non viene rotto. La critica della dissociazione e del valore, al contrario, pone le attribuzioni di genere allo stesso livello di astrazione in cui si trovano il lavoro ed il valore, come relazione di dissociazione ugualmente basilare.
Frigga Haug, inoltre, continua ad avere una prospettiva sovrastante il sistema, senza dipendere solo dal dettaglio, ma conservando la vecchia difficoltà. Amerebbe trovarsi faccia a faccia con la crisi profonda del capitalismo lottando per una riduzione radicale del tempo di lavoro nella sfera del lavoro remunerato, di modo da avere tempo sufficiente per la riproduzione culturale, anche rispetto ad uno sviluppo personale attivo e ad un'attività politica. Questa formulazione delle sue idee iniziali corrisponde più o meno a quello che oggi viene propagandato sotto la formula della "prospettiva quattro in uno" (lavoro, riproduzione, cultura, politica), al fine di promuovere lo sviluppo ecologico, economico e sociale della società umana. In tal senso, difende l'intervento politico di un nuovo femminismo di sinistra, in relazione ad un sistema di quote.
Tuttavia, è questionabile se una tale prospettiva, nelle attuali condizioni di crisi, continui ad essere del tutto realistica. Al di là del fatto che la ridistribuzione delle varie aree di "lavoro" dovrebbe aver luogo solo nel quadro dato, essa sovrastima anche le possibilità dell'influenza politica tradizionale, nel suo ricorso ai "rapporti di forza" gramsciani. Da tempo, è diventato evidente che, dopo il forte ribasso avvenuto nella crisi del 2008, è all'ordine del giorno il salvataggio del capitalismo a qualsiasi costo. Sotto il segno della bancarotta imminente di Stato, e di un limite evidente della logica di valorizzazione, appare assai poco praticabile la prospettiva per cui, in condizioni capitalistiche, si finisca nella sovvenzione statale. Non sarebbe meglio riferirsi alle stesse esigenze immanenti nella prospettiva di una trasformazione radicale del sistema - che è insuscettibile di essere affrontata da Haug - a partire dai suoi presupposti del vecchio marxismo? Questo sarebbe forse "più realistico" di quanto lo sono i concetti pseudo-concreti che, sostanzialmente, suggeriscono la possibilità di applicare un programma neo-keynesiano, il quale viene presentato come trascendente al sistema, ma che di fatto si limita ad una mera riconfigurazione, a partire dai fondamenti dell'ontologia del lavoro, delle sue sfere costituite in modo capitalistico, che come tali sono ormai obsolete.
4. Se il problema della socializzazione negativa emerge ancora in Frigga Haug, seppure in una forma limitata alle apparenze, nel caso del "ritorno dell'economico" post-post-moderno esso viene esplicitamente disciolto nel particolare. Le nuove tendenze verso "l'economia solidale", per mezzo dei "beni comuni", per mezzo del concetto dell'open-source, ecc., hanno in parte le loro radici (frequentemente non identificate) nell'idea del lavoro di sussistenza o indipendente, rappresentata in Germania soprattutto da Maria Mies, Veronika Bennholdt-Thomson e Claudia von Werlhof. Concentrandosi su un'economia agraria piccolo-borghese, e su una comprensione riduttiva della conseguente riproduzione, viene globalmente rifiutata qualsiasi ideologia industriale o di alta tecnologia. Poiché è qui che si trova, secondo Mies & Co., l'oppressione delle donne, della natura e delle altre "persone". Questa concezione è stata ampiamente maneggiata come se fosse la più radicale concezione di abbandono del mercato e dello Stato. Nella mia opinione, a torto, poiché al di là dell'ostilità indiscriminata altamente problematica nei confronti della tecnologia, la prospettiva della sussistenza non istituisce l'abbandono della razionalità del mercato in generale, ma semmai istituisce l'installazione di un mercato interno locale. Allora la (ri)produzione della sussistenza femminile dovrebbe diventare il centro sociale.
Nella teoria dell'economia di sussistenza, i piani ed i contesti sovrastanti conducono solo una vita oscura, o appaiono principalmente nell'analisi negativa della socialità mondiale; come se un pensiero dicotomico in termini di "comunità" e di "società" non appartenesse strutturalmente da sempre al capitalismo, almeno a partire da Ferdinand Tönnies. Perciò, tali progetti sono eccellenti in quanto concetti legittimatori della transizione, in una fase che si caratterizza per il passaggio dalla socializzazione negativa all'imbarbarimento del patriarcato produttore di merci. Fanno di necessità virtù. La terra bruciata dell'economia di mercato è già, volente o nolente, una realtà in molte parti del mondo. Una prospettiva di mera sussistenza associata a questa, al fine di poter sopravvivere in qualche modo, viene ora trasformata in progetto di emancipazione. Qui riappare una volta di più, implicitamente, l'ideologia del "lavoro onesto".
Le ideologie del piccolo è bello, tuttavia, hanno subito una metamorfosi. Al contrario di quanto avveniva negli anni dal 1980 al 1990, oggi ci viene offerta soprattutto una miscela. Le idee del lavoro di sussistenza e del lavoro autonomo si sono trasformate in approcci tecnologicamente addobbati, ed ora, a loro volta, ribassati a "modelli" particolarmente ridotti. Nel concetto diffuso di "economia solidale" si combinano varie idee tradizionali di sussistenza e di alternativa (come la piccola produzione cooperativa di merci, fino alle botteghe gratuite, riforme monetarie e monete locali alternative, ecc.) al concetto di open source digitale, dove una tecnofobia generale viene semplicemente sostituita da un'ideologia primitiva di appropriazione della stessa tecnologia. In questo contesto, nasce ora l'idea dei "beni comuni" che idealizza il momento della riproduzione premoderna della terra comune per uso comunitario, in termini di ideologie moderne di comunità.
E' proprio in un simile contesto generale che sono ora frequentemente coinvolti elementi degradati della critica del valore, o della critica della dissociazione e del valore, la quale si è comunque introdotta in segmenti dei circoli di sinistra. Ignorando, però, la critica che da questa è stata svolta, fin dall'inizio, al piccolino dell'ideologia dell'alternativa e alla connessa constatazione del fatto che la vera vita non si svolge nell'area della riproduzione. Così, per esempio, Stefan Meretz strumentalizza con disinvoltura la teoria della dissociazione sessuale nei conflitti, da molto tempo esistenti, fra l'approccio di questa teoria e le posizioni, da lui rappresentate, dei "beni comuni" e dell'open source. Scrive Meretz: "Il capitalismo ha dissociato momenti essenziali della produzione della vita sociale e li ha relegati alla sfera della riproduzione. La produzione, in quanto ‘economia’ connotata come maschile, e la riproduzione, in quanto ‘vita privata’ connotata come femminile, sono state separate. Il capitalismo ed il patriarcato moderno sono ugualmente originari". La "uguale originarietà" del valore e della dissociazione vengono qui nuovamente trasformate in una relazione derivata secondaria, una volta che la dissociazione nasce come ridotta alla "sfera privata" del dominio della riproduzione in senso stretto; quando invece nella realtà - e come è stato dimostrato - essa attraversa tutte le "sfere", inclusa "l'economia", e proprio per questo è "ugualmente originaria".
A partire da qui viene distillata una prospettiva di superamento riduttivo: "La produzione privata, che è mediata solo a posteriori, può espandersi solo perché, da una parte, avviene sempre a spese della produzione di sussistenza e dei beni comuni e, dall'altra parte, si può sempre puntare ad una produzione complementare di sussistenza e di beni comuni, la quale può e deve compensare le conseguenze della 'economia'. La produzione di merci viene rimossa in modo permanente dalla sfera dei beni comuni, ma non le dà nulla in cambio. I beni comuni hanno le potenzialità per sostituire la merce come funzione sociale determinante" (Meretz Stefan: Die gesellschaftliche Logik der Commons).
5. Anche la critica "economica" queer si adatta a tali tendenze.Così Ganz/Gerbig (in "Diverser leben, arbeiten und Widerstand leisten. Queerende Perspektiven auf ökonomische Praxen der Transfrormation") criticano un "pensiero capitalistacentrico", che si concentra sul capitale e sul lavoro, invece di decostruirli e mettere a fuoco altre disparità sociali ed identità intermedie. Donne, gay, freelancer, hacker-nerd, ecc. vengono anch'essi collocati immediatamente sullo stesso piano. E' anche vero che si può osservare che raramente si incontrano le donne nelle reti di hacker-nerd (questo solo come esempio di altre esclusioni che qui possono aver luogo). Niente di tutto questo, però, intacca in qualche modo l'instancabile critica "economica" queer, a volte chiamata femminista queer. Poiché "in tutto il mondo... (stanno accadendo) cose che fanno battere i nostri cuori con maggior forza. Le persone stabiliscono relazioni fra di loro, lavorano insieme e in rete, sviluppano progetti fantastici ed inventano stupefacenti dispositivi. Si creano spazi aperti che vengono vissuti e differenziati con gioia" (Ganz/Gerbig). Si sostiene che il capitalismo non sarebbe "normale" ma, al contrario, ci sarebbero già pratiche non capitalistiche, che sarebbero al di là del capitalismo. Tali idee comprendono ora il capitalismo come mera "finzione regolatrice", a somiglianza di quello che ha suggerito Judith Butler riguardo all'identità di genere. Qui viene fuori la difficoltà fondamentale del (de)costruttivismo diventato "economico". Il modo di socializzazione negativa non è un qualche costrutto simbolico, (re)interpretabile arbitrariamente, ma una dura realtà sovrastante.
Qui si dimentica di proposito che il valore ormai ha bisogno di essere sempre Altro; imputando, al contrario, a quest'Altro quello che lo riguarda; un carattere di per sé già trascendente, che può anche essere rappresentato in differenti modi, tipo quel "esser meglio" in Meretz. Il carattere feticista della dissociazione-valore viene rimosso e se ne promuove un'uscita volontaristica sul piano di "pratiche quotidiane" non comprovate. Si parla quindi di una nuova configurazione dell'ipostatizzazione della differenza: tutte le differenze sono uguali e, per esempio, nel pensiero dei "beni comuni", vengono suppostamente superate. Anche i dibattiti (femministi) di inter-sezionalità svolgono qui ovviamente il loro ruolo. E' stato perfino ammesso da tempo dalle teoriche queer che l'idillio queer, altrimenti immaginato, è attraversato da gerarchie.
Se perfino nei quartieri che avevano come fattore di localizzazione quello di essere gay o lesbici, esiste ora uno statuto precario, allora forse non rimane più niente di differente per nessuno, in tali condizioni. Ma proprio per questo non si deve continuare, in nessun modo, a fare di necessità virtù. Infatti, è proprio l'altisonante ideologia comunitaria che ammazza ogni tipo di diversità. Chi avrebbe mai pensato che tutti gli attori, dal facchino all'hostess, fossero portatori di genere (Ganz/Gerbig); la visione dualista e dicotomica doveva, pertanto, essere davvero decostruita, una volta per tutte. Se già fin dall'inizio del femminismo c'era stata una corrente significativa che pretendeva di sfuggire alla ristrettezza dell'area di riproduzione e dalla chiusura delle attività domestiche, e difendeva tutto questo con veemenza, anche oggi l'uomo/la donna cercano nuovamente di uscire da quest'area per andare verso il regno della libertà. Ed è questo ciò che accade quando si diffonde la precarietà; e a chi tocca la patata bollente? "La cura" - cioè l'accettazione dell'attività di riproduzione fin qui femminile - deve essere solo un esempio fra i tanti nella danza comunitaria queer, e così ci troviamo ancora una volta di fronte ad una tematizzazione delle attività femminili e delle loro strutture, come nei secoli della vecchia tradizione patriarcale. Poiché continuano ad essere in maggioranza le donne, ad eseguire tali attività, nonostante i cambiamenti degli ultimi decenni, e questa tendenza si applica anche agli ambiti di sinistra. Rimane così inalterata la supremazia maschile, che non appare solo nei circoli antifascisti e che talvolta cerca di farsi sentire ancora di più quando si profila la minaccia di "essere trasformati in casalinghe". Condanniamo tutto questo solamente per trarne un gran divertimento reciproco. Alla base della vita dovrebbe quindi esserci un reddito minimo che i liberal-conservatori hanno messo in cantiere, alla lor maniera, da molto tempo.
Simultaneamente, tuttavia, negli ambienti femministi queer, quando si tratta dell'ordinamento di genere, come "questione concreta", si finisce sempre sulla relazione tra sfera di produzione e di riproduzione, da molto tempo insultata in quanto dualista. La "svolta materialista" degli ultimi anni esige che le si paghi tributo: e dove andare a cercare i concetti, se non nella vecchia teoria femminista da tempo rifiutata?
6. Il giornalista conservatore Frank Schirrmacher sa di cosa parla, quando dice che la società avanza sempre più in direzione di una megacrisi, e perciò verso un orientamento al "minimo". Egli domanda, nel libro dallo stesso titolo, "Minimum", con sottotitolo "Della morte e della rinascita della nostra comunità": "E se lo Stato non riesce a mantenere la sua promessa di aiuto? Allora, chi salva chi, se la situazione è grave, chi si prende cura di chi, quando si rende necessario, chi confida in chi, se la situazione comincia a rovinare (...) E, soprattutto, chi lavora per chi, anche senza percepire denaro?". Secondo quanto ho osservato precedentemente, non deve sorprendere che Schirmacher si ricordi delle donne, ma cerchi una formulazione all'altezza dei tempi: "Affermare che le donne hanno una competenza emozionale molto forte e probabilmente sono anche le fondatrici della nostra comunità, non significa che questo si applichi simultaneamente a tutte a livello individuale, né che debba essere forzoso il ruolo di mamma per le donne (...) Non possiamo fare andare il tempo a ritroso (...) Le ricerche degli ultimi cinquant'anni [Schirmacher si riferisce qui alle ricerche sul cervello, ma anche alla psicologia evolutiva, all'antropologia e alla psicologia, R.S.] dimostrano che il ruolo fondamentale del sostegno della famiglie, e la costruzione e la stabilizzazione delle reti di amicizia, attiene alle donne, che in futuro torneranno sempre più ad essere il luogo delle famiglie tradizionali (...) Fino ad allora [nell'Unione Europea: fino al 2050] si esigerà dalle donne che facciano due cose: far crescere il prodotto sociale lordo e dotare il paese di discendenza (...) Ma questo non è sufficiente. I giovani devono aumentare nelle professioni scientifiche."
In questo progetto, vengono utilizzate molte critiche femministe: l'insistenza sulla "doppia socializzazione", contro la vecchia idea della donna casalinga e considerata eroina; la comunità come risorsa in termini di affinità elettiva (propagandata non da ultimo dai/dalle queer), anche se il vecchio modello di famiglia nucleare è usurato - ma sempre mantenuta ancora unita dalle donne, ad essa predisposte socialmente "per natura"; e vengono anche invocate ipotesi decostruttiviste alla Judith Butler, che vorrebbero screditare radicalmente per mezzo della decostruzione delle relazioni di genere tradizionali, in qualche maniera diventate obsolete. Schirmacher può così recuperare implicitamente l'approccio decostruttivista, senza per questo rinunciare ad ipotesi biologiste tratte dalla ricerca sul cervello, ecc. Egli ci fa notare che non tutte le donne vengono assorbite dai suoi nuovi stereotipi.
Si potrebbe ridurre la questione ad una formula consacrata: Stendi il tuo mantello, Maria, coprici e proteggici con lui, come viene detto in un antico cantico della chiesa cattolica; ora in una versione, per così dire, postmoderna per ragazze alfa. Ossia, una nuova variante della "femminilità come prodotto di pulizia e disinfezione", secondo l'espressione di Christina Thürmer-Rohr. La valorizzazione apparente delle donne, oggi, ed il fatto che sempre più donne accedano a posizioni nell'economia e nella politica, deve quindi essere considerato con sospetto. A ben vedere, si tratta fondamentalmente di una sorta di sessismo rovesciato.
7. L'economia queer mira a relazioni di riproduzione non-familiari, laddove - al contrario di quanto esprime la critica della dissociazione e del valore - solo il principio di valorizzazione (strutturalmente maschile) dev'essere sovrastante al capitalismo, in maniera non dialettica. Ma il fatto è che la prospettiva della "cura" torna ad essere determinata, nella realtà sociale, dalle relazioni di parentela, e mantenuta come punto di fuga nella famiglia monoparentale materna. Ma un orientamento femminista queer si trova assai bene anche con i suoi hacker-nerd maschili! Le donne, nella realtà, hanno, nel mazzo, una carta segnata, che Schirrmacher consegna loro come pseudo-riconoscimento, ed allo stesso tempo apoditticamente, secondo il quale loro devono essere le nuove salvatrici del mondo.
Quanto alla questione del coinvolgimento pratico, bisogna constatare, con realismo, che il patriarcato produttore di merci non può essere abolito per mezzo di sforzi pratici politici che si basano solo su una riconfigurazione delle sfere di produzione e di riproduzione costituite in maniera ugualmente capitalistica. Non si possono trovare nuove uscite senza stabilire come obiettivo l'abolizione delle relazioni sociali nel suo insieme. I differenti momenti della riproduzione sociale non devono essere negati astrattamente e livellati alla loro singolarità, ma le relazioni non possono essere abolite in ogni sfera individuale, né tantomeno in una ipostatizzazione delle attività di riproduzione connotate come femminili, mettendo a fuoco un "bene" ontologico. Non si tratta di "meta-beni comuni" (un'idea che riduce il modo di socializzazione ad una rielaborazione nel senso dell'ideologia della comunità), ma semmai di una critica radicale che va oltre la dicotomia "comunità e società". Il "ritorno dell'economia" avviene in una dimensione di crisi cui non si può far fronte con concetti economici particolaristi.
Roswitha Scholz
fonte: EXIT!