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Il ritorno dell’Oscuro Signore

Creato il 18 febbraio 2014 da Martinaframmartino
Il ritorno dell’Oscuro Signore

John Hoowe, L’occhio di Sauron

“Quando la guerra finì, lo imprigionarono sotto la montagna.”

Quanti fantasy iniziano così? Non con queste parole, ma con l’idea che ci sia una figura divina, o semidivina, che in un lontano passato ha combattuto contro gli esseri umani, è stata sconfitta, imprigionata, e ora rischia di liberarsi. Il primo che viene in mente è il Sauron del Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, non perché Tolkien abbia inventato un genere narrativo che esisteva già da un pezzo ma perché lo ha influenzato in modo determinante. Sauron, se vogliamo, è l’angelo caduto, Lucifero. Ha cercato di innalzarsi troppo ed è stato sconfitto, ma non è certo rassegnato al suo destino.

Il ritorno dell’Oscuro Signore

Peter Bruegel, La caduta degli angeli ribelli

Il signore degli anelli è stato pubblicato fra il 1954 e il 1955. Certo io non conosco tutti gli autori che hanno riproposto questo tipo di immagine, ma alcuni sono davvero famosi anche da noi. La spada di Shannara di Terry Brooks è del 1977, e al suo interno il cattivo si chiama Il signore degli Inganni. Non è proprio un dio ma è comunque molto potente, e che la storia di Brooks sia molto vicina a quella di Tolkien non l’ho certo scoperto io. In quello stesso 1977 Stephen Donaldson ha pubblicato La conquista dello scettro, primo romanzo delle Cronache di Thomas Covenant l’incredulo. Indovinate a chi somiglia Lord Inganno, il cattivo di turno? Non mi interessano i confronti a livello di immagine del personaggio quanto piuttosto di ruolo: la minaccia, la necessità di combatterlo, sono gli stessi. Eliminando tutte le differenze marginali date dai diversi stili, il nucleo della storia è lo stesso. Un piccolo gruppo di eroi deve affrontare questo essere potentissimo che in qualche modo si è rialzato da un’antica sconfitta e vuole conquistare/distruggere il mondo. E il Torak del Segno della profezia di David Eddings dove lo mettiamo? Quel romanzo è del 1982. In questo caso è un dio a tutti gli effetti. Messo non tanto bene dopo che ha giocato con il Globo di Aldur, ma pur sempre un dio. Parecchi anni più tardi, nel 1990, Robert Jordan pubblica il suo Occhio del Mondo. L’inizio è dichiaratamente tolkieniano, e il Tenebroso bene o male appartiene alla stessa famiglia di cui fanno parte anche Saruman, Il signore degli inganni, Lord Inganno e Torak. Ciascuna di queste storie ha la sua ragione d’essere, e ciascuna a modo suo è stata importante per il genere fantasy, in qualche caso anche innovativa. Queste però sono le opere più note, quelle che sono state capaci di resistere al trascorrere del tempo. Quante ne sono state scritte che hanno finito con l’essere dimenticate, o che non sono neppure state tradotte?

Il ritorno dell’Oscuro SignoreL’uso di qualsiasi tòpos (o anche degli archetipi) è un’arma a doppio taglio. Può aiutare il lettore a sentirsi a proprio agio nella storia, come era nelle intenzioni di Jordan, ma può anche essere un limite che indica la scarsa originalità della storia. Io amo La Ruota del Tempo, ma ho iniziato a leggerla nel 1992. Alcuni elementi erano già stati sfruttati tante volte, ma certo meno di ora, senza considerare che ora il genere è cambiato. Probabilmente molti lettori che ora iniziano a leggere quella storia non sono in grado di capire quanto sia stata importante. Se si limitano all’inizio tolkieniano e si fermano perché gli sembra poco originale, e magari sono pure infastiditi perché non c’è la crudezza di George R.R. Martin o di Richard K. Morgan o di Joe Abercrombie, perdono una storia straordinaria, ma con quelle premesse come fanno a capire che il mondo di Jordan è uno dei più complessi e affascinanti che siano mai stati creati? Che lo è anche ora, oltre vent’anni dopo la sua nascita? In realtà la contaminazione di saidin, che si scopre abbastanza presto, è un elemento che dovrebbe far capire che quella storia ha cose nuove da raccontare, ma non so in quanti si rendano conto da subito dell’importanza della cosa. Chi si ferma ovviamente non sa cosa si perde, affettato dall’uso di un tòpos. E se per caso manca una conoscenza storica delle storie, allora si può fare una gran confusione.

Io ho iniziato a leggere La Ruota del Tempo nel 1992. Tre libri, L’Occhio del Mondo, La grande caccia e Il Drago rinato, fino al 1995, e poi c’è stata una lunghissima attesa durante la quale non è stato più tradotto nulla anche se ovviamente Jordan ha continuato a scrivere. Nel 1998 Fanucci ha pubblicato L’assedio delle Tenebre, che è la prima metà del primo romanzo della Spada della Verità di Terry Goodkind. Se vi interessa la storia editoriale di questa saga ne ho parlato qui: http://www.fantasymagazine.it/rubriche/11424/terry-goodkind-la-spada-della-verita/. Il primo volume (versione originale) è del 1994, quindi di quattro anni successivo a quello di Jordan. Io ho l’abitudine di leggere i libri completamente, e con questo termine includo anche i ringraziamenti e le note di copyright, perciò sapevo che Goodkind era successivo a Jordan non solo perché lo avevo letto dopo ma perché lo dicevano le date. E in Goodkind ho visto molte cose che avevo già trovato in Jordan. Fissazioni mie, che mi portano a vedere similitudini anche dove non ce ne sono? Immagino che a volte sia caduta in questo tipo di errore, in fondo sono un essere umano, ma anni fa ho trovato un’intervista a Jordan in cui il giornalista gli chiedeva spiegazioni su alcune non meglio specificate similitudini fra La Ruota del Tempo e La spada della verità, curioso di sapere chi avesse imitato chi. Jordan, da quel signore che era, gli ha risposto semplicemente che se lui vedeva delle similitudini fra due libri tutto quel che doveva fare era controllare l’anno di pubblicazione. Qualcosa mi dice che Goodkind non sia in grado di dare una risposta di questo tipo. Ma per chi non lo sa, e non è attento alle date, può essere difficile mettere le cose in prospettiva. In fondo La spada della verità da noi è arrivata nel 1998, e le varie edizioni economiche hanno iniziato a essere pubblicate nel 2001, mentre la prima edizione Fanucci dell’Occhio del Mondo è del 2002. Ecco che l’utilizzo di un tòpos colpisce ancora, facendo credere che la storia di Jordan sia meno originale solo perché la sua traduzione è avvenuta dopo rispetto a quella di altre storie. Ma, per chi ha la costanza di andare avanti, il premio dato dalla lettura è davvero alto.

Tanto per cambiare ho divagato. Ci credereste che quando ho iniziato a scrivere volevo limitarmi a parlare del romanzo La strada dei re di Guy Gavriel Kay? Solo di quel libro, per parlare di altro ci sarà tempo. Ho iniziato citando la prima frase perché la amo come amo tutta la prosa di Kay.

“Quando la guerra finì, lo imprigionarono sotto la montagna.”

Il ritorno dell’Oscuro SignoreAvete notato che non c’è una parola di troppo? Il Dark Lord della situazione, l’antagonista, è indicato da un semplice pronome. Se vogliamo il suo nome lo possiamo sempre trovare nell’elenco dei personaggi, ed è ovvio che prima o poi verrà citato all’interno della storia. Qui non serve infiorettare la vicenda con titoli altisonanti, perciò basta un pronome. E la guerra è solo una guerra, non c’è bisogno di aggiungere altro.

Ho scritto più volte che Kay ha un ritmo lento, ma non perché sia prolisso. Tutt’altro, le sue frasi sono depurate di tutto il superfluo. No, Kay è lento perché ama talmente tanto quel che descrive da prendersi tutto il tempo necessario per costruire un’atmosfera, un’immagine perfetta. Tante piccole parole una dietro l’altra. Sembrano semplici, ciascuna frase in sé è semplice. Messe assieme però costruiscono qualcosa di ben più grande dei singoli elementi. Nessun nome, quella che viene enunciata è una verità assoluta. Il fatto storico più importante, e come può chiunque viva su Fionavar non sapere di cosa si sta parlando?

Volevo analizzare il romanzo, ma mi accorgo che almeno per stavolta non ne ho il tempo. Ora sto parlando di parole, spinta su questo sentiero da una semplice frase. Poco più su quella stessa frase mi aveva spinta a parlare degli angeli caduti e delle divinità imprigionate. Ovviamente ce n’è una anche qui. Il suo nome è Rakoth Maugrim il Distruttore.

Il ritorno dell’Oscuro SignoreKay ha lavorato al fianco di Christopher Tolkien nella revisione del Silmarillion di J.R.R. Tolkien. Se c’è una cosa certa è che lui ha potuto studiare il metodo di lavoro di Tolkien e che conosce molto bene le sue opere. Sa quanto lavoro sia necessario prima di cominciare a scrivere, e sa anche che si possono scrivere cose bellissime per poi trovarsi a buttarle via perché si è finiti in un vicolo cieco. Conosce molto bene i punti di forza dell’opera di Tolkien, e suppongo che si sia stancato di vedere autori che non facevano altro che copiare la superficie delle cose finendo con il produrre romanzi banali, privi di profondità e tutti uguali l’uno all’altro. Perciò anche lui, come avrebbe fatto qualche anno più tardi Robert Jordan, ha ripreso il modello tolkieniano (addirittura proponendo una cartina molto simile) con l’intento di far vedere come, pur partendo da quello, fosse possibile arrivare a risultati originali, capaci di catturare il lettore e di non lasciarlo più andare via. Lo aveva già detto in altre occasioni ma lo ha ripetuto pure nell’intervista che mi ha concesso: lui vuole catturare i lettori al punto da spingerli a restare svegli fino alle tre di notte perché devono assolutamente scoprire come finisce la sua storia (http://www.fantasymagazine.it/interviste/20648/i-mondi-fantastici-di-guy-gavriel-kay/). Io in questo non sono molto fortunata, prima la mamma e ora il marito vengono a rompere le scatole se secondo loro sto facendo troppo tardi. Ma non lo capiscono che è una questione di vita o di morte? Ci sono personaggi che muoiono nei libri di Kay, e ci sono punti in cui io non posso assolutamente staccarmi da loro. Di fronte a questo la scuola e il lavoro sono preoccupazioni secondarie, e per dormire c’è sempre tempo. Anche se si tratta di un’altra notte.

Il ritorno dell’Oscuro Signore

John Howe, The Summer Tree

Dopo il prologo ci ritroviamo tutti insieme all’Università di Toronto, la stessa frequentata da Guy quando stava studiando per laurearsi in Legge, per assistere a una conferenza di Studi Celtici. La conferenza è solo un pretesto, come si scoprirà entro breve, perché in realtà il relatore principale è Loren Manto d’Argento, un mago proveniente dal mondo di Fionavar, il primo di tutti i mondi.

La possibilità di viaggiare fra i mondi ormai è un elemento molto frequente nella narrativa fantastica, prima o poi magari mi fermerò a rifletterci un po’ sopra. Kay ha riconosciuto l’importanza di Donaldson, che ha trasportato il terrestre Thomas Covenant nella Landa. Donaldson mi ha annoiata, e il suo protagonista mi sta decisamente antipatico, ma questo non toglie che sia stato importante per il genere. Per dirne una, Thomas è un lebbroso. Non esistono solo i grandi eroi dal fisico muscoloso, e se accanto a un prode guerriero come Jaime Lannister possiamo pure trovare il suo fratello nano Tyrion è perché ben prima di George R.R. Martin ci sono stati scrittori che hanno scelto di avere per protagonisti personaggi non proprio perfetti. E poi c’è la vicenda del viaggio fra i mondi che non va tralasciata.

La magia di Loren, basata sulla forza della sua sorgente, è affascinante, e dopo aver fornito alcuni interessanti retroscena porta nella trama una scolta molto importante. La cosa che fa sorridere però è il fatto che i cinque, Kimberly Ford, Kevin Laine, Jennifer Lowell, Dave Martyniuk e Paul Schafer, si riuniscono per una conferenza di studi celtici. La mitologia inizia a fare capolino, anche se non sappiamo nulla di quanto viene detto nella conferenza. Ma quanta mitologia c’è in questa saga? Su questo si potrebbe scrivere parecchio, e c’è gente che lo ha fatto: http://www.brightweavings.com/scholarship/index.htm. L’elemento che non possono non notare tutti diventa evidente nel secondo romanzo, ma già nel primo la semplice menzione di alcune cose è bastata a farmi venire i brividi. In italiano il romanzo si chiama La strada dei re, ma in lingua originale è The Summer Tree, l’albero dell’estate. E c’è un albero qui dentro, chiamato l’Albero dei re, che a me fa tanto pensare a Yggdrasil, e non è un caso. Ci sono i corvi, Pensiero e Memoria, che come Yggdrasil derivano dalla mitologia norrena e che confluiranno anche in un’altra saga, La Ruota del Tempo. Quante volte lo devo dire? I libri parlano, e quando riesco a cogliere il loro mormorio mi vengono i brividi. Altre cose, come detto, diventeranno evidenti più avanti. Questo è un libro ricco, che si può leggere a più livelli, amare strato dopo strato, a partire dalla semplice bellezza delle parole. Se riuscirò a trovare il tempo tornerò ancora a parlare di lui.

Il ritorno dell’Oscuro Signore

La copertina di Martin Springett per La strada dei re



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