Magazine Italiani nel Mondo

Il ritorno di Giuseppe

Creato il 21 dicembre 2010 da Faustotazzi

Il ritorno di Giuseppe
Ahmed è Egiziano e musulmano, fa il parrucchiere qui a Marsa Dubai e mentre mi passa il rasoio sul cranio mi dice quanto è bello il Natale. Non torna a casa da cinque anni, non fa vacanze da tre, ha nostalgia, mi dice che il Natale da noi in Europa gli ricorda i Ramadan da piccolo, nel suo paese. Un senso di famiglia e di comunità da quando ci si trova presto la mattina per pregare insieme, attraverso il digiuno diurno fino alla gioia della sera, quando gli iftar raccolgono il frutto prezioso di  una giornata di preparazione e gli amici si ritrovano per cena.
E' quasi Natale. Da oltre un anno vivo qui, più o meno nel deserto e oggi - sarà colpa anche di Ahmed - il pensiero della natività mi ha attraversato come una brezza, sollevando veli al suo passaggio. Lassù voi tra abeti imbanditi, presepi innevati e un grassone che ne ne va in giro su una slitta trainata dalle renne. Quaggiù guardo fuori e vedo il Natale com'era, come doveva essere: vento e deserto, asini, capre e cammelli, qualche cespuglio magro, verde smunto tra la sabbia e i sassi.
La Buona Novella è un disco di tanti anni fa, di prima che ci fossi io. Un disco fatto di vinile, un disco di Fabrizio de Andrè. Questo pezzo si chiama Il ritorno di Giuseppe e nella versione originale inizia con arpeggi di liuti arabi e percussioni beduine. Nella versione della PFM invece ci sono chitarre finger picking e echi di far west. E poi c'è Fabrizio che con la sua voce profonda racconta il Natale.
Stelle, già dal tramonto,
si contendono il cielo a frotte,luci meticolosenell'insegnarti la notte.
Ve lo ricordate Gesù? Quello con la tunica, quello in Palestina, quello dei quaranta giorni nel deserto a datteri, locuste e acqua amara delle oasi. Quello che va in giro a dorso d'asino, quello tra i pesci stesi a seccare sulla spiaggia di un lago, quello che ci ha lasciato le penne tra i sassi di un monte secco che appunto lo chiamavano gholgota, il cranio. 
Un asino dai passi uguali,compagno del tuo ritorno,scandisce la distanzalungo il morire del giorno.
Un arabo, quantomeno molto più arabo di quanto vogliamo pensare. Arabo se non proprio nel sangue, nel territorio. Araba la vita che viveva, la polvere che calpestava, l'aria che respirava, il cibo che mangiava, l'acqua che beveva.
Ai tuoi occhi, il deserto,una distesa di segatura,minuscoli frammentidella fatica della natura.
L'altro giorno degli australiani mi hanno chiesto come fare per vedere il deserto. Gli ho risposto di prendere un taxi e farsi portare alla pista per le corse dei cammelli. E' un ovale nella sabbia, vicino al mercato dei cammelli, venti minuti fuori città sulla statale per Al Ain. Si passano i cantieri della periferia poi quasi senza accorgersi si entra in un paesaggio di dune, sempre più maestose. Intorno parecchie fattorie. i dromedari pascolano allo stato brado e quando si affacciano contro nel cielo rosso del tardo pomeriggio sono uno spettacolo di magia. Mi perdo nei pensieri e intanto Fabrizio va proprio a finire su quel verso sui Beduini, che non li cita ma incombono, presenze nei versi e nelle assonanze.
Gli uomini della sabbia
hanno profili da assassini,rinchiusi nei silenzid'una prigione senza confini.
Vangeli apocrifi, arabi, armeni, bizantini. Gesù nell'Islam è Isah, colui che ha annunciato la novella, profeta secondo solo a Mohammed, grande ancor più di Ibrahim (Abramo) padre di tutti uomini. Nel Corano Isah non viene crocifisso, come Maometto semplicemente muore e ascende al cielo. E un giorno tornerà. In cambio i cattolici continuano a ritenere Maometto (la pace sia con lui) alla stregua di un pericoloso cialtrone. 
Odore di Gerusalemme,la tua mano accarezza il disegnod'una bambola magra,intagliata del legno.
Entrano le tastiere e portano il suono del cielo sopra le dune, il respiro del deserto. Organi da chiesa, tappeti nei majlih. Le percussioni ritmano il tempo mentre Burak, il cavallo volante di Maometto, lo porta da Gerusalemme alla Mecca, nella notte. 
Nella PFM Francone Mussida lascia correre le dita sulla chitarra, e sono immediatamente giorni di assemblea alle superiori, giradischi stereo nelle camerette, freddo degli inverni, capelli a cespuglio e maglioni troppo stretti. Ogni nota si trova in un posto ben preciso sulle sue corde e tra i tasti che chi ci ha provato lo sa bene, sa bene la fatica a cercarle con i polpastrelli che fanno male. Ma questa di chitarra se ne esce fluida e potente dagli amplificatori: basta essere Francone Mussida, dal mento forte e dai capelli bianchi ancor prima del tempo.
Poi l'asino rallenta, i cammelli si calmano, i musicisti si riposano. Nella versione originale arrivano dei violini che si mettono a suonare come fossero stati trascinati fin li apposta per finire il lavoro. Fabrizio resta da solo, si china sulla chitarra con la frangia che gli copre mezzo viso come Capitan Harlock e riprende quel ritornello: una ballata che corre per tutto il disco, che in questo punto si chiama Il Respiro del Deserto ma che prima, quando ancora si chiamava Il Sogno di Maria, sulle stesse note aveva detto:
E tu, piano, posasti le dita 
all'orlo della sua fronte: i vecchi quando accarezzano hanno il timore di far troppo forte. 
Sento la mano di mio padre, la sua mano grande, calda, un po' ruvida e forte che passa sul mio viso da bambino. Non è che semplicemente la ricordo, io quella mano la sento, provo la sensazione sulla pelle, sono felice e mi commuovo.
Natale è fatto di ricordi e questi sono i miei ricordi quest'anno. Questo pezzo è per un uomo importante, questo pezzo è per mio padre.
Buon Natale


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :