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Il rizoma e la parresia del saggio

Creato il 08 aprile 2010 da Retroguardia

IL TERZO SGUARDO n.2: Il rizoma e la parresia del saggio. Stefano Berni – Ubaldo Fadini, “Linee di fuga. Nietzsche, Foucault, Deleuze”

Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)

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di Giuseppe Panella

 

Il rizoma e la parresia del saggio. Stefano Berni – Ubaldo Fadini, Linee di fuga. Nietzsche, Foucault, Deleuze, Firenze, Firenze University Press, 2010

«L’attuale è dunque l’”adesso del divenire” e non la prefigurazione di un determinato percorso storico. E’ questa differenza tra il presente e l’attuale a consentire una presa di posizione critica (una presa di distanza) nei confronti di qualsiasi forma di “storicismo”, di razionalizzazione “assoluta” del decorso storico, che ri(con)duce integralmente l’uomo all’orizzonte della storia. Il rinvio all’attuale permette anche di elaborare una risposta alla questione del consumarsi o meno del “destino dell’uomo” nell’immanenza storica che non suggerisce semplicemente la sostituzione di un altro centro di gravità rispetto a quello della storia (ad esempio, la natura, riproponendo così l’abituale contrapposizione tra “filosofia della storia” e “antropologia filosofica”). All’esistenza “storica”, contrassegnata dagli ordini / comandi del presente, è possibile prospettare delle “linee di fuga” rappresentate comunque dai divenire che lo stesso presente veicola. E’ proprio questa attenzione alla dinamica dell’”evento”, che “nel suo divenire sfugge alla storia”, a richiamare, oltre la nietzscheana “eternità dei divenire”, quel “fuori-interno”di Foucault che sta alla base – ne è l’anima – di un processo incessante di differenziazione, che è irriducibilmente “creativo” (di “nuove terre” e di “nuovi popoli”, per dirla ancora con Deleuze e Guattari), che “eccede”, non può non farlo, “il confine stesso della storia” (F. Masini) e le sue logiche di sopraffazione» (Stefano Berni – Ubaldo Fadini, Linee di fuga. Nietzsche, Foucault, Deleuze, Firenze, Firenze University Press, 2010, pp.103-104).

Da qui deriva il titolo del libro. Si tratta, in realtà, di un saggio diviso in due parti che abbraccia la storia e il destino di una parte assai rilevante della filosofia francese del Novecento ormai trascorso.

Diviso equamente tra le figure aurorali di Michel Foucault e di Gilles Deleuze, con interessanti incursioni nei dintorni di Georges Bataille, Pierre Klossowski e Raymond Roussel, il saggio vuole essere un contributo teorico alla conoscenza e alla discussione dell’orizzonte culturale e filosofico di oltre quarant’anni di storia francese. Berni, autore delle prime novantaquattro pagine del volume, si occupa essenzialmente delle opere della seconda fase del pensiero di Michel Foucault e del suo rapporto privilegiato con il pensiero di Friedrich Nietzsche. Fadini, invece, che ne ha scritto le ulteriori sessantanove, si concentra essenzialmente sul rapporto tra i due pensatori e si distende poi ulteriormente a riferire sull’opera di Bataille, di Raymond Roussel e di Klossowski sempre in rapporto ai due filosofi.

Quello che intriga maggiormente Berni è il passaggio di Foucault dalla dimensione archeologica della sua prima fase a quella genealogica della seconda. La prima culmina in un saggio dedicato a Le parole e le cose (1966) e costituisce uno dei momenti più alti della riflessione metodologico-filosofica di Foucault. Dopo l’ulteriore sviluppo teorico costituito da L’archeologia del sapere (1969), il progetto successivo di analisi storica è costituito dall’utilizzazione del concetto, centrale per Nietzsche, di genealogia. Il pensatore francese scriverà Sorvegliare e punire (1975), forse la sua opera più pressante sotto il profilo politico e l’anno dopo La volontà di sapere, primo di un annunciato ciclo sulla storia della sessualità e manifesto di quest’ultima. Ma, nonostante siano già noti i titoli dei volumi à suivre (e, infatti, l’editore italiano Feltrinelli li comprerà a scatola chiusa fin da subito), bisognerà aspettare il 1984 per avere i due volumi successivi che, peraltro, parlano della storia delle pratiche del sesso in Occidente solo alla lontana. Per taluni studiosi di Foucault, infatti, La cura di sé, ultima opera del pensatore ancora in vita, rappresenta uno stadio ulteriore del work in progress dell’autore. Qual è l’interesse teorico di Berni in tutto questo? Lo studioso si muove a cavallo tra una ricostruzione storica del pensiero foucaultiano e una critica in cui manifesta, ad esempio, forti dubbi sulla “qualità” del rapporto che il filosofo francese ha avuto con il pensiero di Nietzsche. Secondo Berni, infatti, Foucault non tiene il passo con la riflessioni sul tema del corpo e della corporeità presenti nelle opere del filosofo tedesco e resta ancora legato ad una concezione riduttiva della loro importanza e del loro valore. Merito di Nietzsche, invece, secondo Berni, è quello di aver messo in valore quel nodo inesausto e inesauribile di pulsioni e di intensità rappresentata dalla natura corporea degli uomini.

Altrettanto perplesso egli appare riguardo alla vexata quaestio del rapporto tra Marx e Foucault.

Ben lungi dallo sposare le interessate tesi di François Ewald su un supposto anti-marxismo di Foucault., Berni ne riduce, tuttavia, l’importanza e accusa il pensatore francese di non aver colto bene l’importanza dell’idea-cardine marxiana della questione dei rapporti di produzione.

Se nel primo caso si può convenire sull’assenza di una proposta generale di recupero dell’istintualità e della pulsionalità dei “corpi” divenuti “docili” per effetto del discorso del Potere applicato ad essi (ma forse per Foucault anche gli istinti e le pulsioni sono costruzioni irrelate frutto dell’investimento da parte del Potere stesso), nel secondo caso, il filosofo stesso esibisce una competenza notevole in campo marxiano e aderisce ad alcune delle tesi più contestate del pensatore di Treviri. E’ il caso, ad esempio, delle lezioni (ora tradotte come Bisogna difendere la società del 1976) dove Foucault dimostra di aderire alle tesi contenute nella lettera del 5 marzo 1852 (un testo un tempo assai conosciuto) inviata da Marx al socialista Joseph Weydemeyer da poco emigrato negli Stati Uniti. In essa, Marx sostiene che i primi a teorizzare la lotta di classe come succedaneo della teoria dello scontro tra le razze furono gli storici di parte borghese come Augustin Thierry o François Guizot (il pensatore comunista riprenderà questa sua tesi storiografico-politica in una lettera a Engels del 1882). Da ciò si ricava il sostanziale apprezzamento di Foucault per l’ipotesi di Marx:

«A partire di qui, si comprende allora, credo, come e perché il discorso sulla lotta delle razze sia potuto diventare, alla metà del XIX secolo, una nuova posta in gioco. In quel periodo di tempo, infatti, questo discorso […] stava per spostarsi, per tradursi o convertirsi in un discorso rivoluzionario, in cui la nozione di lotta delle razze sarebbe stata sostituita da quella di lotta di classe – anche se è vero, a rigore, che la metà del XIX secolo è già troppo tardi: il processo si verifica già nella prima metà del secolo, dato che l’operazione di trasformazione della lotta delle razze in lotta di classe è stata effettuata da Thiers» (Michel Foucault, “Bisogna difendere la società”, a cura di Mauro Bertani e Alessandro Fontana, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 73).

Quello che interessa maggiormente Fadini, invece, è il rapporto tra Deleuze e Foucault, non solo amici nella vita e nella comune militanza contro le aberrazioni del potere giudiziario e politico (significativa è la loro partecipazione al GIP, Group d’Informations sur les Prisons, insieme a Pierre Vidal-Naquet, Sartre e Jean Genet che nacque e si spense nell’arco di un anno, 1971-1972).

Ma quello che conta è l’idea forte che Deleuze propone del dispositivo come progettato e articolato nel pensiero di Foucault. Mediante la disarticolazione teorica di esso, la trappola di un possibile storicismo o di una forma di riconciliazione e superamento (Aufhebung) di tipo hegeliano è evitata e il rapporto con la storia diventa sempre più progressivamente legata a linee di soggettivazione che fanno saltare le possibili strategie del Potere. Intuendo nella tripartizione Potere – Sapere – Soggettività il ganglio nodale della riflessione foucaultiana, Deleuze riserva alla riflessione contenuta nelle ultime opere dell’amico un’ampia disponibilità descrittiva e ne rende, quindi, esaurientemente il modello propositivo. Su Deleuze e Foucault, sull’adesione e sulle possibili critiche reciproche, Fadini ha spunti assai vivaci e ricchi di riflessione. Basterà solo citare una sua ulteriore pagina in cui precisa il nodo teorico della posta in gioco:

«Un altro elemento decisivo è rinvenuto nell’idea foucaultiana che la società non si contraddica (o che lo faccia in maniera irrilevante), ma che piuttosto si faccia strategica, faccia strategia. Rispetto a ciò, Deleuze ripropone la sua concezione che un campo sociale si caratterizzi per le sue linee di fuga, cioè che fugga via, da tutte le parti (le linee di fuga costituiscono “il rizoma o la cartografia” di una società). Per linee di fuga si intende qualcosa di molto simile ai movimenti di deterritorializzazione: non rappresentano affatto un “ritorno alla natura” e sono invece “le punte di deterritorializzazione nei concatenamenti di desiderio” (che i dispositivi di potere “vogliono sempre imbrigliare”). La strategia appare come “seconda” rispetto alle linee di fuga, a quel loro intrecciarsi e sciogliersi che ”si confonde” con il movimento del desiderio» (Stefano Berni – Ubaldo Fadini, Linee di fuga. Nietzsche, Foucault, Deleuze cit., p. 115).

Ma nell’ipotesi di Fadini c’è anche qualcosa che va oltre il dispositivo foucaultiano o il “concatenamento di desiderio” di matrice deleuziano-guattariana. E’ l’idea di un corpo futuro capace di espansione e di intensità potenziata legata all’innesto di organi artificiali o di sostanze in grado di produrre in esso mutazioni alterazioni e intensificazioni: ne è testimonianza il capitolo sul cyborg (l’organismo cibernetico, una volta appannaggio pressoché unico della letteratura di anticipazione più avanzata o oggi realizzazione ormai prossima se non in atto) e sul Manifesto omonimo redatto da Donna Haraway (e che nel libro viene analizzato e discusso esaurientemente).

Infine – nell’ intreccio delle posizioni teoriche di Deleuze e di Foucault e nel loro riverberare le analisi più significative riguardo il destino futuro della società ormai capitalisticamente globalizzata, Fadini individua la sostanziale novità della filosofia francese del secolo scorso. Il che implica, necessariamente, la loro “inattualità” perdurante e ne fa, nonostante il proliferare di libri, monografie e di tesi di laurea su di essi, un oggetto ancora molto pericoloso da maneggiare. Per essi vale ancora il motto fatale del no trespassing.


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