Nel romanzo che vorrei scrivere ci saranno le notti calde, in città, quando il sapore di asfalto riempie l’aria immobile e le strade, bagnate dal temporale del pomeriggio, evaporano lentamente in un odore di polvere e di umidità – un odore che a casa mia (quella vera intendo, quella dove sono nata) non c’era mai. Ci saranno le panchine vuote, sul bordo dei marciapiedi, dove invece a casa mia c’erano le sedie che le nonne portavano fuori al calar del sole, e rimanevano sedute a chiacchierare e a prendere il fresco, e a guardare la gente che passava – che poi, a parte le sere della festa del paese, non passava mai nessuno. Nel romanzo che vorrei scrivere ci sarà il rumore delle fontane che continuano a rovesciare acqua, in quelle sere d’estate quando è così tardi che è già il giorno dopo, le fontane che continuano a picchiettare sull’asfalto i loro schizzi anche se al bordo del giardino, o sul marciapiede, non ci passa più nessuno.
Nel romanzo che vorrei scrivere, ci sarà il cielo delle notti in città, d’estate, dove le stelle non si vedono nemmeno se è sereno perché la città accende troppe luci. Ci saranno le luci sulla collina, che se ti affacci dal balcone sporgendoti un po’ di più di quanto sarebbe prudente riesci a vederle e sembra che brillino, invece di starsene ferme. Ci sarà l’aria più immobile che mai, l’aria calda che ti si appiccica addosso di notte ancora più che di giorno, come se per qualche motivo il buio la rendesse più pesante e più vischiosa. Ci sarà la corrente che le auto, passando veloce al centro della strada, risvegliano e spingono fino a farla scontrare con i muri, fino a farla attorcigliare intorno alle mie ginocchia, sollevandomi un poco la gonna, mentre i semafori gialli lampeggiano in silenzio.
Nel romanzo che vorrei scrivere, ci saranno le case antiche, ai lati della via, e imponenti e altere, con le tende colorate e le luci accese, dietro, e le finestre dalla forma allungata spalancate per invitare ad entrare una brezza che non si trova da nessuna parte. Ci saranno i portoni delle case, grandi e alti e imponenti quanto le case stesse, ma che si aprono con le chiavi piccole; i portoni pesanti, che fai fatica ad aprirli e scricchiolano, e a richiudersi ci mettono una vita. Nel mio romanzo, ci saranno gli androni silenziosi e freschi delle case vecchie che ancora rimangono in piedi in certe zone della città, e ci sarà il rumore dei miei passi sulle scale, i miei passi che faranno più rumore del solito per via delle scarpe con il tacco alto, che metto solo ogni tanto, solo d’estate.
Nel romanzo che vorrei scrivere ci saranno tutte quelle volte che, tornando a casa, ho appoggiato la schiena sul vetro e il ferro della porta per sentire il freddo, per rallentare il respiro, per attutire il battito del cuore. Nel romanzo che scriverò, tornerò a casa di notte, d’estate, e mi affaccerò alla finestra, scostando le tende, pregando per un filo d’aria (fresca, se non è troppo disturbo). Se sarò fortunata, mi scapperà da ridere e immagino che riderò, anche se è tardi e tutti dormono – nessuna città dorme davvero se è una città che vale almeno qualcosa.