Il Romanzo delle Crociate: l’Epopea di un Cavaliere

Creato il 18 luglio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Giuseppe Floriano Bonanno 18 luglio 2013

Per gli appassionati del genere medioevale e dell’epopea dei Templari e delle crociate mi sento di poter suggerire, senza alcun indugio, né dubbio, il ciclo de Il romanzo delle crociate dello svedese Jan Guillou. Quella che vi aspetta è infatti una vera e propria saga che copre circa un secolo e tre generazioni di protagonisti, raccontandone le gesta in quattro volumi editi in Italia prima da Corbaccio e poi, in edizione economica, da TEA: Il templare, Il Saladino, La badessa e L’erede del templare. Tutto comincia ne Il templare (la traduzione è di Katia De Marco) con la nascita di Arn, secondogenito della nobile Sigrid e di suo marito Magnus: siamo nel 1150 e ci troviamo in una Svezia ancora divisa in piccoli regni, perennemente in lotta tra loro, dove le autorità politiche ed ecclesiastiche si sfidano senza esclusione di colpi. La vita di Arn cambia in modo definitivo quando, a seguito di un voto dei suoi genitori, viene destinato a un monastero cistercense. A Varnhem Arn si divide tra lo studio dei testi religiosi e l’uso delle armi, sotto la guida di fratello Guilbert, un cavaliere templare ritiratosi a vita monastica. Bello, intelligente e curioso, Arn si apre senza la minima malizia al mondo: vuole conoscere, fare, viaggiare, ma, appena lascia il monastero per tornare a casa, il destino gli fa incontrare due incantevoli sorelle. E mentre s’innamora perdutamente di una, Cecilia, si lascia rovinosamente sedurre dall’altra, Katarina. Quello che Guillou ci fa apprezzare è un medioevo non manierato, piuttosto lontano da quello di altri celebri romanzi del genere (I pilastri della terra o Il nome della rosa per intenderci), bensì un medioevo, quello nordico, alquanto misterioso e sconosciuto, ma certo molto più reale e duro, dove l’esistenza è grama e l’uomo è stritolato dai due poteri, quello temporale e quello spirituale, che se ne contendono l’anima e d il corpo. La descrizione d’ambiente è assai particolareggiata e vivida, frutto com’è di accurati studi, l’approfondimento psicologico dei personaggi è quanto mai attento, tanto da produrre figure reali, vere, e non “figurine” da videogame. Si può dunque sorvolare sull’iniziale lentezza con cui il romanzo parte, resa forse un po’ più fastidiosa dai difficili nomi scandinavi di luoghi e persone, ma, superato il primo impaccio, la trama conquista ben presto il lettore accompagnandolo nella conoscenza, dall’interno, di due mondi ben diversi, ma ugualmente accattivanti, quali quello dei monasteri e quello delle corti nobiliari. Forse però quello che più ci prende è osservare la “palestra” cui si sottopone il futuro templare Arn, che ci restituisce a tutto tondo, senza nulla tacere e tutto rivelando, la vera consistenza psicologica dei monaci-guerrieri dell’epoca, complicate fusioni tra saggezza e valore, tra virtù cristiane e abilità belliche.

Il secondo capitolo della saga, Il Saladino (traduzione di Laura Cangemi) si apre nell’anno del Signore 1177 con un prodigio di cui si parlerà a lungo tra i seguaci di Maometto. Saladino, l’uomo che ha giurato di liberare Gerusalemme dagli infedeli, è inseguito da una banda di briganti: la salvezza gli giunge inaspettata per mezzo di Al Ghouti (Arn Magnusson), uno dei più temuti e rispettati templari, che uccide i banditi e salva il grande condottiero senza rendersi conto dell’ironia del suo gesto. Arn, che ha ormai 27 anni, è un veterano di mille battaglie tra i crociati in Terrasanta. Nei dieci anni trascorsi da penitente in Palestina, ha imparato molto e si è fatto strada nell’Ordine divenendo il comandante della guarnigione di Gaza con l’incarico di mantenere la legge nella zona. Nel frattempo, in Svezia, l’amata Cecilia ha partorito il loro bambino, che viene allevato dallo zio paterno di Arn, lo Jarl dei Folkung, Birger Brosa, mentre nelle fredde terre scandinave proseguono le sanguinose lotte per il trono che coinvolgono le famiglie dei Folkung, degli Erik e degli Svear, dal cui esito si determinerà il corso della storia di Svezia. Questo è forse il capitolo più bello ed appassionante del ciclo, soprattutto per l’ambientazione in Terrasanta che ci rivela tanti passaggi di quello che fu uno dei più controversi periodi storici dell’umanità e che ha influenzato per sempre il futuro dei rapporti tra il mondo occidentale e quello arabo. Guillou si supera nei passaggi in cui mette a confronto Saladino ed Al Ghouti, due uomini tutti d’un pezzo, animati da nobili sentimenti e osservanti del vero credo, suggerendo, neppure tanto nascostamente, che, alla fine, il cristianesimo e la religione musulmana altro non sono che due facce della stessa medaglia. Gli amanti del genere bellico trovano soddisfazione nelle minuziose descrizioni delle grandi battaglie che insanguinarono la Terrasanta, tra cui quella di Montgisard in cui le forze crociate, in grande inferiorità numerica, ebbero la meglio sulle preponderanti forze egiziane. Come in tutte le storie umane c’è però spazio anche per gli intrighi della politica che fecero dilagare la corruzione, l’odio e le lotte intestine trasformando i “nobili” scopi delle crociate in biechi giochi di potere da cui ben poche delle figure storiche citate si salvarono.

Il terzo libro del ciclo, La badessa (traduzione di Katia De Marco), ci fa ritrovare Arn Magnusson nell’anno del Signore 1192, quando, dopo vent’anni di servizio come templare in Terrasanta, torna finalmente nella natia Svezia. Quello che rimette piede nelle fredde terre del Nord è ora un uomo ricco e stimato, che, in Oriente, ha appreso e perfezionato le arti della guerra e della pace. Ancora una volta però la sorte sembra accanirsi contro di lui. Cecilia, la donna che ama e che gli ha dato un figlio, dopo i lunghi anni trascorsi, in attesa del ritorno del suo uomo, tra le mura di un convento, è vittima di un intrigo che la mette di fronte a una scelta assai difficile, tra le ragioni del cuore e quelle del potere, da cui potrebbe scaturire una guerra civile, cruenta e sanguinosa, con in palio il trono del regno. Rispetto ai precedenti è indubbiamente il volume con minor azione, permeato com’è da un messaggio evidente d’amore e di fratellanza, nonché da uno di severa condanna nei confronti dei vizi tipici dell’uomo quali la superbia e l’ipocrisia. Rappresenta però il culmine di una parabola di vita, quella di Arn, che completa appieno la sua totale metamorfosi: da ragazzino ingenuo e credulone a servo di Dio, fino a diventare il capo di una intera stirpe che si deve districare tra giochi di potere, invidie ed odi, sottili e pericolosi. Questo è il libro in cui più attenta è la ricostruzione del medioevo nordico, accurate e particolareggiate sono le descrizioni della vita nelle campagne, nelle città e a corte, il ritmo è più piatto e lineare, interrotto ogni tanto da una rivolta o una guerra, volta ad innalzare al trono l’ennesimo pretendente. L’apparentemente fiacca narrazione di buona parte dell’opera è però una sorta di preparazione a quella autentica deflagrazione finale in cui prevalgono nuovamente i toni epici con le minuziose descrizioni degli intrighi e delle battaglie, che portano allo scontro finale che determinerà la nascita della Svezia, intesa come regno e come nazione unita. Nel contempo è però anche il testo più intimo in cui, accanto alla figura di eroe, si erge quella di marito e di padre, che farà di Arn un uomo, completo, a tutto tondo, con le sue grandi virtù e gli immancabili vizi.

Il ciclo si chiude, forse un po’ impropriamente con L’erede del templare (traduzione di Katia De Marco), che si svolge molti anni dopo e senza tanti dei protagonisti che abbiamo conosciuto nei capitoli precedenti, nel frattempo scomparsi. L’attenzione si rivolge dunque al nuovo Jarl del regno, Birger, che altri non è che il nipote del leggendario Arn Magnusson. Birger Magnusson fin da ragazzino impara a destreggiarsi con maestria con la spada, ma i casi della vita lo porteranno prima a diventare un abile commerciante e poi ad essere anche uno stimato uomo di legge. È tuttavia allo scoppio dell’ennesima guerra, prima contro Knut Holmgeirsson, poi contro i sostenitori del suo stesso figlio Valdemar, che Birger metterà in campo tutta la sua forza e le sue capacità. Il ritmo è incalzante, la trama si nutre di eventi che attraggono e tengono desta l’attenzione del lettore, trascinandolo in un vortice di sangue ed intrighi, in cui il terreno sembra quasi tremare sotto gli zoccoli dei cavalli al galoppo e dove il matrimonio diventa uno strumento di potere altrettanto importante ed utile che la spada. La parte più intima è quella che si sofferma sul racconto dell’amore perduto, elevato, quasi, ad inevitabile prezzo da pagare per avere l’accesso al vero potere. Si toccano i toni più epici laddove si narra della nascita della Svezia moderna, della sua capitale e delle prime leggi scritte promulgate, appunto, da Birger Magnusson, che resteranno in vigore per più di seicento anni. Anche se, inevitabilmente, non all’altezza dei tre precedenti volumi è tuttavia il giusto e naturale epilogo de Il romanzo delle crociate, che con le sue oltre 1600 pagine mi ha fatto compagnia per parecchi mesi, facendomi vivere per un po’ in un’epoca ed in una dimensione ora epica, ora eroica, ora intima, ora amorale, certamente assai lontana da noi, eppur così vicina, perché gli uomini, nei loro sentimenti più forti, non sono cambiati affatto nell’ultimo millennio. Saga da leggere tutta d’un fiato, quindi, che raggiunge il suo apice con Il Saladino, di gran lunga il migliore e più coinvolgente dei quattro!


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