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Il rospo, la tartaruga e il papero

Creato il 10 luglio 2012 da Speradisole

IL ROSPO, LA TARTARUGA E IL PAPERO

IL ROSPO, LA TARTARUGA E IL PAPERO
La fila dei reclami cominciava ai margini della palude e si allungava verso ovest, terminando, quando infine la tartaruga arrivò, alla base di un ceppo di pino carbonizzato.

La tartaruga, un maschio, si mise in fila dietro un rospo dallo sguardo vitreo, e proprio mentre apriva la bocca in uno sbadiglio da far venire i crampi alla mascella, arrivò un papero che prese posto dietro di lui, borbottando: “Branco di imbecilli”.

 La tartaruga ancora a bocca aperta,  annuì come a dargli ragione,

“E’ la seconda volta che faccio la fila, mi crede?” si lamentò il papero,. “La prima, mi hanno detto che il documento d’identità non serviva. Poi, dopo avermi fatto aspettare quasi tre ore, una scassaminchia di topo di fiume mi fa: “Mi spiace, signore, ma se non ha un documento d’identità io non posso fare niente”.

“Al che io le faccio “Ma dirmelo prima, mannaggia a te? E lei: “Senta, se è per comportarsi da incivile, può anche andarsene”.

La tartaruga emise un gemito di solidarietà, come se anche a lui fosse già successo qualcosa di simile.  “E’ il trucco più vecchio del mondo” disse. “A sbagliare sono loro, ma in un modo o in  un altro fanno ricadere  la colpa su di te”.

“Le ho detto : “Vuole un comportamento civile? Vada a lavorare in un posto dove la gente non la fanno girare a vuoto!” proseguì il papero. “Non è che potete lamentarvi se noi ci lamentiamo, quando siete voi a darci motivo di lamentarci”.

“Ben detto” commentò la tartaruga.   Come avrebbe ammesso in seguito, era rimasto  sinceramente ammirato. “Da un papero, ma anche da un qualsiasi altro volatile, non ti aspetteresti di sentir parlare così chiaro, e invece lui ci ha preso in pieno”, avrebbe detto quella sera alla moglie, tornando a casa.

Fu a quel punto che nella discussione intervenne il rospo. “Vogliamo parlare di incazzature? Arrivo in cima alla fila, tiro fuori il documento d’identità, e a quel punto mi sento dire che dovevo portarne due diversi, da non credere. Le dico “Però a quello sgorbio di lince  che c’era prima non ne ha chiesti due, l’ho visto benissimo”. E la tipa allo sportello – un serpente nero – mi fa che è una regola speciale solo per i rettili”.

“Perfetto” le dico,  “ io sono un anfibio. “E lei a quel punto – non scherzo – mi risponde: “Non fa differenza”.

“E io. “Col cazzo che non fa differenza. In primis, io  mi accoppio solo nell’acqua. Secondo, la pelle che avevo addosso alla nascita l’ho ancora. Per cui non venga a dirmi che ‘non fa differenza’, Proprio lei, poi, che dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro”.

“Allora quella attacca con la stessa manfrina del topo di fiume. “Chiedo scusa, ma se deve usare questo linguaggio….”.

La tartaruga alzò gli occhi al cielo. “Tipico”.

“Avrei dovuto mollarle un pugno” disse il rospo. “Diritto in faccia, bam”

“Esatto amico mio!” esclamò il papero.

“Anzi no” proseguì il rospo, “dovevo cavarle gli occhi, accecarla e farle passare il resto della vita al buio”.

La tartaruga aveva un cugino cieco, che detestava, e per questo rise ancora più forte.

“Poi dovevo strapparle la lingua” disse il rospo, “Così vedevamo cosa diceva!”,

“Un po’ difficile rompere i coglioni, se uno non può parlare” disse il papero.

“E poi, per finire, dovevo darle fuoco” aggiunse il rospo. “Anzi, prima le tiravo addosso dell’acido, e poi le davo fuoco, a quella stupida troia”.

La tartaruga fece per dire qualcosa, ma il rospo, infervorato da una nuova possibilità, lo interruppe: “No, un attimo, dopo averle tagliato la lingua dovevo prendere una mela e spalmarla tutta di cacca, spalancarle quella boccaccia enorme e ficcargliela in gola. Poi tirarle addosso l’acido. E, alla fine darle fuoco”.

Risero tutti e tre.

“Meglio ancora se usava un melone” disse la tartaruga. “Lo spalmava di merda e glielo cacciava in gola. Ah!”,

“Oppure” disse il papero,  “invece di un melone, prendeva una banana enorme, e con quella…”

A quel punto l’atmosfera ridanciana si guastò. “Una banana enorme per un serpente nero” disse il rospo. “ Bel razzista, complimenti”.

“Ma no” ribatté il papero. “Io intendevo…”

“So benissimo che cosa “intendeva”, lo interruppe il rospo, e mi fa anche abbastanza schifo”

“Sì, esatto” gli diede man forte la tartaruga.

“Ma andate a quel paese” sbottò il papero, e col suo passo dondolante si allontanò borbottando.

“Quanto li odio, quello così” disse il rospo. “Una banana gigante. Se era un serpente reale non lo diceva, e di sicuro non se era un pitone”.

I due osservarono il papero allontanarsi scuotendo la testa disgustati. Un attimo di silenzio, poi il rospo riprese: “Un bel melone, ecco cosa dovevo spalmare di merda. Anzi due, uno normale e uno di quelli gialli. Li spalmavo di merda e glieli ficcavo in gola. Poi le tiravo l’acido. E alla fine le davo fuoco”.

“Pazienza” tagliò corto la tartaruga, “ci saranno altre occasioni”,

(David Sedaris – Bestiole e bestiacce)



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