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Il rosso guttuso

Da Renzomazzetti

 

GUTTUSO

 IL ROSSO GUTTUSO

C’è un colore antico come tutti i colori

del mondo. Quanto l’abbiamo amato

quasi incarnato nel legno di miracolose

predelline, in refettori romanici,

nel buio di cantorie nell’Appennino estivo!

Un rosso come di cuoio, di sangue oscurato

nei pori del legno da un meriggio ancora

vivo, nel XIII o XIV secolo – ciliege

colte negli orti di una Napoli di Re contadini

lamponi cresciuti in un ronzio di vespe

che i secoli hanno relegato

in radure irriconoscibili, e così familiari!

Il rosso di tutta la Storia. Pulviscoli

e bruniture, su Tebaidi laziali…

ambienti umbri, bolognesi, o veneziani

per stragi di innocenti o moltiplicazioni di pani.

Il sangue dell’Italia è in quel rosso di ricchi

dove il quotidiano è sempre sublime,

e la Maniera ha i suoi regni…

 

Ora eccolo nelle nostre mani

non più incarnato alle tele o ai legni

in macchine di bellezza sublime, richieste

dal meriggio della potenza.

 

Un ingenuo rosso maldestro, appiccicato

alla carta o al compensato

come un baffo o uno sgorbio, legato

alla freschezza casuale e arbitraria

di un atto espressivo che non si vuol esaurire.

Illegittimo, incompiuto, grezzo,

non consacrato mai dalla tecnica che incute

venerazione al devoto, all’umile…

Un’altra sensualità, un altro

mistero…

 

Ma è fatale che oltre questi anni

il casuale diventi intero,

l’arbitrario assoluto.

I significati diverranno cristalli:

e il rosso riprenderà la sua storia

come un fiume scomparso nel deserto.

Il rosso sarà rosso, il rosso dell’operaio

e il rosso del poeta, un solo rosso

che vorrà dire realtà di una lotta,

speranza, vittoria e pietà.

-Pier Paolo Pasolini-

 

[ C E R C A: ORRORI ]

 

B I C E F A L O  -  Vuoto o con il cervello?  E... il cuore?

B I C E F A L O - Vuoto o con il cervello? E... il cuore?

PER UN PUGNO DI RICCHI

IL CAPITALE. - Cerchiamo ora di vedere in maniera chiara che cosa è il capitale. E’ prima di tutto un valore determinato sia sotto forma di denaro, di macchinari, di materie prime, di stabilimenti, di fabbriche, sia sotto forma di prodotti fabbricati. Ma è un valore che serve a produrre un nuovo valore: il plusvalore. Il capitale è un valore che produce plusvalore. La produzione capitalistica è la produzione del plusvalore. Nella società capitalistica le macchine e gli stabilimenti rappresentano un capitale. Ma sono sempre un capitale? No. Se esistesse un sistema comunitario di produzione per tutta la società, né le macchine né le materio prime, sarebbero un capitale perché non servirebbero più a trarre del profitto per un pugno di ricchi. Dunque le macchine, per esempio, non divengono capitale che nella misura in cui costituiscono la proprietà privata della classe capitalistica e servono a sfruttare il lavoro salariato, a produrre del plusvalore. La forma di questo valore è senza importanza; esso può consistere sia in un piccolo gettone d’oro che in carta moneta, con la quale il capitalista compera i mezzi di produzione e la forza-lavoro: questo valore può anche prendere la forma di macchine con le quali lavorano gli operai, o di materie prime che si trasformano in merci, od ancora di prodotti manufatti che saranno più tardi venduti. Ma dal momento che questo valore serve alla produzione del plusvalore, è capitale. Normalmente il capitale non perde una forma se non per acquistarne un’altra. Vediamo come avviene la trasformazione.

PRIMO. - Il capitalista non ha ancora acquistato né la forza-lavoro, né i mezzi di produzione. Ma egli arde dal desiderio di assumere operai, di procurarsi dei macchinari, di far venire delle materie prime, del carbone in quantità sufficiente. Per il momento non ha nulla salvo il denaro. Il capitale si presenta qui sotto la sua forma monetaria.

SECONDO. - Con questa provvista di denaro il capitalista va al mercato ( non di persona, beninteso, poiché c’è per questo il telefono, il telegrafo, e altri mezzi ). Là è possibile acquistare mezzi di produzione e forza-lavoro. Il capitalista ritorna alla fabbrica senza denaro ma con degli operai, dei macchinari, delle materie prime, del combustibile. Tutte queste cose non sono più, per il momento, delle merci. Esse hanno finito di essere merci da quando non sono più destinate alla vendita. Il denaro si è trasformato in mezzi di produzione e in forza-lavoro, ha abbandonato la sua forma monetaria. Il capitale si presenta ora sotto forma di capitale industriale. Ora comincia il lavoro. Le macchine entrano in azione, le ruote girano, le leve funzionano, gli operai e le operaie sono in moto. Le macchine si consumano, le materie prime diminuiscono, la forza-lavoro si esaurisce.

TERZO. - Tutte le materie prime, l’usura delle macchine, la forza-lavoro in azione, si trasformano poco a poco in quantità di merci. In questo caso il capitale lascia il suo involucro materiale di strumento di fabbricazione ed appare come un insieme di merci. Questo è il capitale sotto la sua forma commerciale. Ma non ha fatto altro che cambiare involucro. E’ comunque aumentato di valore perché durante il corso della produzione il plusvalore vi si è aggiunto.

QUARTO. - Ciò nonostante, il capitalista fa produrre delle merci non per il suo uso personale, ma per il mercato, per la vendita. Ciò che si è accumulato nel suo magazzino deve essere venduto. In principio, il capitalista andava al mercato come acquirente, ora deve andarci come venditore. In principio aveva in mano denaro e voleva acquistare merci ( mezzi di produzione ) ora ha in mano merci e vuole ricavarne denaro. Quando la merce è venduta, il capitale passa di nuovo dalla funzione commerciale alla funzione monetaria. Ma la quantità di denaro che riceve il capitalista non è più quella che aveva dato all’inizio, poiché essa è aumentata dell’ammontare del plusvalore. Ma il giro del capitale non è ancora terminato. Il capitale aumentato e rimesso in movimento acquista una quantità ancora più grande di plusvalore. Il plusvalore si aggiunge in parte al capitale e comincia un nuovo ciclo e così di seguito. Il capitale, simile ad una palla di neve, gira senza sosta e, ad ogni giro, una quantità sempre più grande di plusvalore vi si aggiunge. In altre parole la produzione capitalistica si accresce e si allarga. Ecco come il capitale sottrae il plusvalore alla classe operaia e si espande dovunque. Il suo accrescimento rapido si spiega con le sue qualità caratteristiche. Certamente, lo sfruttamento di una classe da parte di un’altra esisteva già precedentemente. Ma prendiamo per esempio un proprietario terriero ai tempi della servitù della gleba o un padrone che possedesse schiavi nell’antichità. Essi opprimevano i loro servi od i loro schiavi. Tutto ciò che essi producevano, era ad esclusivo vantaggio dei padroni, lo consumavano essi stessi o lo facevano consumare dalla loro corte, dai loro numerosi parassiti. La produzione di merci era molto scarsa e, in pratica, non esisteva la vendita. Se i proprietari terrieri o i padroni avessero voluto forzare i servi o gli schiavi a produrre delle montagne di pane, di carne, e di altri generi destinati alla vendita tutto sarebbe marcito. La produzione si limitava allora alla soddisfazione dei bisogni del proprietario e del suo seguito. Nel sistema capitalistico, è completamente diverso. Non vi si producono cose per la soddisfazione dei propri bisogni ma per il profitto. Si produce merce per venderla, realizzare un guadagno, accumulare del profitto. Più il profitto è grande, migliore è l’affare. Da qui deriva, tra i capitalisti, la corsa insensata al profitto. Questa sete di profitti non ha limiti. Questo è il perno, il motore principale della produzione capitalistica. -Nicolai Bukharin- (L’ABC del comunismo).

 


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