il rugby in 'Italia ... nel V Secolo A.C.

Creato il 31 luglio 2012 da Rightrugby
Sunzi (in cinese: 孫子; pinyin: Sūnzǐ; Wade-Giles: Sun Tzu) fu un generale cinese del VI – V secolo a.C., autore de "l'Arte della Guerra", manuale dai contenuti eterni: l'Uomo difatti, piaccia o meno alle anime belle, in 2500 anni non è cambiato nelle pulsioni fondamentali. Tanto che il testo viene utilizzato correntemente nei corsi di strategia competitiva delle scuole di business management.
Ne useremo citazioni come spunto, applicandole alla disfida che si svolgerà il 15 di settembre per impadronirsi della gestione della Federazione Italiana Rugby e delle manovre di positioning in atto nell'estate.  Il fine è di dar delle impressioni e riflessioni, a gentile richiesta, evitando(vi) le ripetitive cronache di presentazioni hotel dopo hotel, i conti di chi c'era e chi mancava, i preannunci di vittoria certa, gli avvisi che invece i giochi sono apertissimi, le polemiche per attirar l'attenzione e le altre scontate bassezze assortite tipiche dei momenti elettorali.
1) La prima cosa che salta in mente ricordando Sun Tzu è la sua raccomandazione a conoscere prima di ogni altra cosa il terreno di battaglia: "Unless you know the mountains and the forests, the defiles and impasses, the lay of the marshes and swamps, you cannot maneuver with an armed force".
Qui il terreno dello scontro sono i 3.800 aventi di diritto di voto, espressione delle società, atleti e addetti ai lavori. Molti frequentatori tra i quali qualche lettore hanno informazioni locali, poche decine di persone possiedono una visione più ampia (i coordinatori regionali, qualche esperto), pochissimi individui conoscono sufficientemente bene tutto l'ambaradan. Tra questi certamente chi l'ha gestito per sedici anni in fila: Dondi, il Grande Elettore del Gavazzi Alfredo, il primo dei candidati - non in ordine di apparizione, che fu: Amore, Gavazzi, Zatta.
L'importanza dell'endorsement dell' ex presidente è tutta qui: macché continuità. macché figlioccio o pupo, è solo il passaggio delle chiavi della cassaforte d'apparato, dove sta scritto chi avanza cosa e cosa serve a chi. Conoscono il terreno della battaglia: vantaggio probabilmente decisivo. Speriamo ne abbiano qualche contezza anche i "challenger" ma la loro strada in una elezione da Stato delle Banane è  tutta in salita, per quanto belli e densi siano programmi, bel nome e contatti.
2) Uno dei sei principi cardine dell'Arte della Guerra è "Deception and Foreknowledge". Dondi che ne ha vinte quattro fa il tracotante, se la vende già fatta prima di cominciarla bollando gli avversari non solo da ingrati - Treviso è in Celtic per merito suo: purtroppo è vero, nel senso che se fosse stato per i Consiglieri ... - ma anche come incompetenti. Purtroppo potrebbe aver ancora ragione, nell'ottica del punto precedente.
Il Delfino Gavazzi porta la guerra in pieno territorio del nemico veneto (ma in Lombardia come sta?) e reclama "già un 40-45% di adesioni". Manipolazione e controllo dell'informazione secondo i principi dell'Arte della Guerra; il nemico nel frattempo pare intento ad acquisire visibilità mediante denuncia passiva (Amore) o giocando la carta attiva della massima credibilità e competenza in Italia (non noi Persuaders, c'è Munari a supporto tecnico-organizzativo di Zatta). Non basta purtroppo: Sun Tzu insegna che la guerra è anche manipolazione e inganno.
3) Anche se fra Dondi e Gavazzi non è mai corso buon sangue. conviene ad entrambi nell'ottica dell'inganno, far credere di essere diventati "culo e camicia". L'Alfredo è un maverick anche fisicamente, s'è sempre ritagliato spazi sottotraccia, quando tutti vedevan solo il monolite dondiano: a quelli del Calvisano ogni porta era spalancata, ad esempio per "nazionalizzazioni" a stretto giro di posta.
Se il suo interesse a vendersi come Delfino è chiaro - ereditare le chiavi dell'apparato sopra detto - che ci guadagna Dondi a dare il suo endorsement a un infido, non certo un Checchinato o un vero vice come Saccà? Beh, politicamente si potrà parlare di "continuità" soprattutto con gli stranieri, mentre già si fa strada l'odea di una regìa federale del marketing dei campionati - cioè di squadre, sponsor, media e tv: del flusso finanziario in toto, insomma - area che pare essere interesse personale dell'ex presidente per motivi non certo attitudinali (ve lo vedete voi Dondi markettaro-comunicatore-lingua sciolta?).
4) L'aspetto positivo di tutto questo è che l'arte della deception cinese la applica pure il Gavazzi ai dondiani: sotto il paravento della "continuità" ci sarà probabilmente più "innovazione", per citare lo slogan del Delfino che per ora sostituisce, assieme a qualche boutade elettorale, il programma che non ha. Innovazione, capiamoci, tutta tattica, a corto respiro: se Gavazzi probabilmente si sbarazzerà un po' alla volta senza troppi disturbi di personaggi e contenuti dondiani, il metodo sarà lo stesso: tattico, personale, in una parola provinciale. E poi, che so' 'sti "nuovi media"? Una gestione ancora chiusa, passiva, senza voli, tutta do ut des: raso terra come una partita d'Eccellenza a dicembre.
Si tuona ad esempio di decentrare le Accademie, creandone dodici Under 16 tanto per cominciare (costerà due lire ... ): favore per chi disinvesta dai vivai e se li ritrova a spese federali alle porte di casa; si sparacchia di terza franchigia celtica per i boccaloni: soldi a parte, dove li trova altri 35 italiani da Pro12, a Rosario e Melbourne?

5) "Una strategia senza tattiche è il cammino più lento verso la vittoria. Le tattiche senza una strategia sono il clamore prima della sconfitta".  Per Sun Tzu, elaborare piani senza aver leve vere per agire nella "pancia profonda" dell'elettorato è tempo sprecato. Speriamo i challenger tengano nel dovuto conto anche la "politica": del resto l'avvio del candidato Zatta era stato promettente, con l'appoggio immediato dei quattro club-guida veneti, speriamo non si fermi lì.
D'altro canto, l'epitaffio di Dondi e dei suoi eredi metodologici sta nella seconda parte della frase: si si, belli i novantamila all'Olimpico e a San Siro vanto dell'attuale gestione, ma l'ultimo successo politico e sportivo vero è figlio di una strategia datata oramai dodici anni orsono, è la nascita del Sei Nazioni. Dopo solo tattica e tanto, tanto annaspare. Avanti così, facciamoci del male.
Il problema del "vecchio" modo di gestire il paesello rugby nostrano non sta nella continuità o nelle idee ma nell'assenza di disegno strategico di ampio respiro, documentato ed eseguito in modo professionale e non da ciarlieri arruffoni. Cosa vogliamo essere tra dieci anni, lasciando perdere obiettivi di targa buoni per farci i titoloni, tipo "entro le prime otto del Mondo?" Il movimento italiano DEVE fare un salto verso il manageriale, come raccomanda Zatta - è questo il vero punto qualificante, la vera distinzione del suo programma dall'elenco di sogni di Amore. Se invece rimane provinciale, gestito volontaristicamente quando va bene, alla "'a fra' chette serve?" quando no,  non si cresce. O meglio gli iscritti aumentano (dopotutto la mortalità è bassa in Italia) ma le altre nazioni corrono più veloci e ci lasciano indietro.

6) "Conoscere l'altro e se stessi: cento battaglie senza rischi; non conoscere l'altro e conoscere se stessi: vittoria a volte, a volte sconfitta; non conoscere l'altro né se stessi:  ogni battaglia è un rischio certo".
Il Gavazzi s'è vantato di non essere interessato a conoscere i programmi degli avversari (peraltro apparentemente simili: la differenza vera sta nel COME - managerialità -  importante almeno quanto il COSA).
Nella realtà il Gavazzi Alfredo, scarpe grosse cervello fino, fa l'arrogante per distogliere i riflettori su qualcosa che non ha e vende 'sta cosa come un punto qualificante, dicendo di voler attendere la fine dei giri elettorali - e le elezioni - per definire un "programma" nei dettagli. E' come il candidato presidenziale  in vantaggio che tagli il numero di confronti televisivi con l'avversario: fa bene, rischia solo di perdere. Anche nella Cina del 500 A.C. la guerra si faceva così, inutile far tanto le verginelle. Ecco perché già in tempi non sospetti siamo arrivati alla provocazione di sostenere che i programmi "all'italiana" (liste di intenzioni abbastanza sgrammaticate, non "business plan": vale per tutti) non sono poi così importanti.

7) "Gli strateghi vittoriosi hanno già trionfato prima ancora di dare battaglia; i perdenti hanno dato battaglia prima di cercare la vittoria". Speriamo che Zatta sia sceso in campo sapendo quel che faceva e cosa serviva. Speriamo che Dondi si sbagliasse o meglio volesse sminuire le capacità de "l'erede" quando parlò di vittoria a mani basse.
C'è anche un altro modo di leggere la frase: perché combattere a tutti i costi? C'è la possibilità di addivenire a un accordo? Secondo me si, dato che tutti sanno che serve "innovare", anche se forse non tutti han chiaro cosa significhi veramente. Del resto,  "L'arte della guerra consiste nello sconfiggere il nemico senza doverlo affrontare".
Gavazzi ora fa il prezioso dall'alto della sua posizione di presunta forza e nello schieramento dillà qualche "talebano" duro e puro rifiuta ogni ipotesi di compromesso, ma chissà come potrebbero cambiar le cose nel giro di un mesetto. Sempre che i challenger abbiano qualche asso vero e "sporco" nella manica, non si limitino insomma alla sopraffina competenza di Munari  - "put experts on tap, never on top": questo non lo diceva Sun Tsu ma siamo certi lo pensi anche Vittorio.
L'obiettivo non è spostar l'asse del rugby italiano da Parma a Treviso: è invertire un andazzo perdente da dieci anni a questa parte, aldilà dei personalismi. nel nome della managerialità, non di questo o quello e nemmeno di due biglietti, tre palloni o addirittura una Accademia o una Celtica sottocasa. In cambio di tale risultato, scendere a qualche compromesso sarebbe un tradeoff più che accettabile. Meditate gente, meditate.

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