Il ruolo dei docenti sempre più svilito

Creato il 05 settembre 2012 da Gadilu

Oggi ricomincia la scuola e si vorrebbe annunciarne l’inizio con parole liete. Non si tratta forse del principale indirizzo al quale si rivolgono le speranze non solo di tutti quelli che la frequentano e la animano, ma dell’intera società che, proprio grazie alla scuola, avrebbe la possibilità di accrescere il volume di sapere necessario al suo progresso? L’uso del condizionale non sembri dettato da un eccesso di amarezza. Da molto tempo, infatti, la scuola si è trasformata in un ricettacolo di risentimenti e malumori. Non fa eccezione quella della nostra provincia, anche se qui ancora vale (ma per quanto?) il pregiudizio che la situazione non sia in fondo così tragica come nel resto del Paese.

I problemi ai quali accenno non riguardano perciò i recenti cambiamenti introdotti per ritoccare il calendario, nonostante la polemica che ne è seguita. La cosa più grave è da vedere piuttosto nel tentativo di fare assumere agli insegnanti il profilo professionale d’impiegati d’ordine, vale a dire, secondo la definizione che li distingue persino da quelli di concetto, svolgenti “un lavoro intellettuale come mera attuazione delle direttive dei superiori, senza alcun potere di iniziativa”. Contrariamente a quanto sarebbe garantito dalla Costituzione (art. 33), negli ultimi anni la libertà dei docenti è stata infatti progressivamente strangolata e poi annegata da “innovazioni” programmatiche (piani formativi, elaborazione delle competenze, campi d’apprendimento…) apparentemente ideate a sostegno del loro ruolo, in realtà responsabili di un marcato livellamento, che di quel ruolo segnala tutta la crisi.

Un deleterio senso comune dà poi manforte a questa degenerazione, rinfacciando da anni agli insegnanti scarso lavoro e vacanze indecentemente lunghe (i più informati denunciano che si tratta di tre mesi, rammentando forse i bei tempi in cui si tornava sui banchi il primo di ottobre). Pochissimi critici hanno ovviamente provato in prima persona le difficoltà di un mestiere tanto delicato e da loro non è lecito aspettarsi il rispetto per un tempo “libero”, quello appunto delle “vacanze”, nel quale ogni bravo insegnante magari trova ancora il modo di leggersi quei libri e fare quelle esperienze che il tempo “pieno” o “farcito” dell’anno scolastico ormai non gli consente.

“Non è (più) un Paese per insegnanti” era il titolo sconfortante di un bellissimo articolo di Silvia Avallone pubblicato sul Corriere della Sera alla fine di luglio. No, questo davvero non è più un Paese per insegnanti, soprattutto perché dell’insegnamento è stato smarrito collettivamente, prima ancora che istituzionalmente, il senso della sua irriducibile peculiarità.

Corriere dell’Alto Adige, 5 settembre 2012


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