La piccola città (un po’ come, in Italia, tutte quante) possiede un giorno annuale, canonico, di festa: nel quale in giro si trovano cerimonie, gare, bancarelle che vendono il croccante, a fronte di negozi chiusi. La sua caratteristica è però il fatto – inusuale, e profondamente seducente – che il vero coinvolgimento della gente non è pensato tanto per il giorno di riposo (dove tutti, oramai stanchi, dormono il giusto sonno delle ore piccole, smaltendo vino e danze nelle proprie abitazioni), ma per quello di vigilia. La sera prima, dunque, sul fare del tramonto, la città si mette a veglia, accendendo sul fiume, placido, che la attraversa, una lunga, romantica, distesa di lumini. Sono candeline e candeline che iniziano a bruciare nel crepuscolo, e poi nel buio della notte, alla voce tremula del vento, mentre gli abitanti della piccola città (che in fondo resta un gran paesone) si gettano in strada un po’ straniti e sorridenti, nell’attesa gioiosa della festa, proprio come nel Sabato leopardiano.
La ‘povna non fa eccezione. E anche quest’anno (e fanno venti) ha partecipato al rito collettivo e inevitabile, unendosi a Viola, Papà Razzo e l’Altra sulla riva del fiume. E, mentre i fuochi, con la musica, sparavano nel buio – lacerando con i loro giochi di luce perturbanti l’atmosfera pre-moderna – ha ripensato al senso di un’appartenenza cercata quando di anni lei, ancora, ne aveva solo diciotto. E – sguardo di intesa con Viola che le stava a fianco – ha lasciato mentalmente il suo personale inno alla piccola città
Auguri, piccola città, che mi hai ospitato per vent’anni.
Auguri, piccola città, che mi hai insegnato che per l’indipendenza non è mai troppo presto.
Auguri, piccola città, che mi hai accolto dispiegando la tua neutralità orizzontale (zero famiglia, zero radici, zero tutto) – dimostrando che è possibile aderire a un non-luogo in cui i legami si scelgono, e non vengono ereditati.
Auguri, piccola città, che sei stata la mia palestra: di educazione intellettuale, politica, sentimentale.
Auguri, piccola città, così scandalosamente facile – un posto in cui sempre volentieri si torna (e proprio per questo dalla quale, ogni tanto, è necessario andare).
Auguri, piccola città, che ora sei casa di L., di G., dell’Altra e ancora altri, e chissà se riuscirai a non essere soffocante, nella tua struttura verticale.
Auguri, piccola città, auguri e basta. Perché la mia vita fin qui è stata volontà, e scelta, e adesione ed entusiasmo. E tutto questo sarebbe stato assai più difficile e complesso, senza di te.