Da quanto papà non c’è più, mamma non è più a suo agio con i fine-settimana. Se le dici che è bello perché è sabato ci tiene a farti sapere che no, che il sabato è una giornata inconcludente e scombussolata per trascorrere la quale non ha mai programmi. Tenete conto che i suoi punti di riferimento sono far la spesa nei negozi sotto casa la mattina e, quando capita, sbrigare qualche commissione: mamma è in pensione dal 97. Il pomeriggio lo trascorre in casa, tra qualche faccenda domestica, un libro, la settimana enigmistica, un po’ di televisione, una telefonata. Ma la spesa la fa anche al sabato, alcuni negozi oramai aprono anche di domenica, le attività pomeridiane sono le stesse sia nei giorni festivi che in quelli feriali, ne risulta che il fine-settimana altro non è che un fattore mentale. Ci sono quelli che patiscono il weekend perché, per esempio fuori dal lavoro, non si sentono a proprio agio nella loro vita privata o semplicemente non accettano la solitudine. Non è il caso di mia mamma, per la quale apparentemente non c’è discontinuità temporale nella piccola distanza. Ci sono le stagioni differenti. Ci sono (purtroppo) gli anni. Ma il suo ieri, l’oggi e il domani sono intercambiabili se non per una visita medica, una commissione, un appuntamento dal dentista. Non ho idea se sia la vedovanza la causa di questo appiattimento. Nel dubbio non so mai se condividere con lei certi episodi che mi vengono in mente su papà anche perché ho l’impressione che eccezion fatta per una library ben consolidata di ricordi sia refrattaria ad apportare modifiche all’idea che le è rimasta di suo marito. Mio papà, per dire, mi aveva accompagnato in autobus fino all’abitazione del mio insegnante di pianoforte qualche giorno prima della prima lezione. Si tratta di un episodio che mi è tornato in mente qualche giorno fa. Glielo avevo chiesto io perché non avevo mai preso un autobus da solo, anche se avevo già 12 anni, e volevo che mi insegnasse la strada a partire dalla fermata giusta fino al suo portone. Ho preso poi lezioni di piano per molti anni e per molti anni ho fatto quel percorso da solo. Una volta, ero un po’ più grande, non volevo suonare il citofono per salire dal maestro di piano finché non fossero scomparsi i segni della delusione dalla mia faccia di adolescente. Una ragazza che mi piaceva tantissimo si era innamorata di un mio amico, che non aveva esitato a ricambiarla. A così tanto tempo di distanza ancora oggi penso che non ci sia nulla di più umiliante, per un adolescente. Non so dirvi se poi sono salito a lezione di piano in ritardo o no e che faccia mi era rimasta. Ricordo solo che il sabato successivo l’avevo trascorso con la stessa voglia di cancellare un giorno inconcludente con cui mia mamma, senza che le chieda nulla, oggi mi dice che il sabato è un giorno tutto sottosopra.
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