Ibn al-Jawzi, Il sale nella pentola. Storie arabe di sciocchi e di folli, Il leone verde, Torino 2002
Alcuni studiosi contemporanei, come a esempio Margoliouth, ritengono che nella letteratura araba classica non sia possibile rinvenire lo humor.
In realtà la letteratura araba classica è ricca di versi, modi di dire e proverbi che testimoniano non solo dell’ovvia capacità di ironizzare e ridere degli arabi, ma anche della volontà di lasciarne traccia scritta.
Ridere e far ridere vengono definiti ni‘ma min ni‘am Allah e del riso troviamo traccia nel Corano e nei hadìth, dove spesso si afferma che il riso viene da Dio e il pianto dal diavolo. E se questo è un riso squisitamente arabo con la penetrazione dell’Islàm in territori non arabi i modi e gli argomenti di cui ridere si sono modificati col tempo includendo apporti greci e persiani e soprattutto grazie ad autori medievali, spesso di origine non araba.
Il sale nella pentola è uno di questi testi, che prende di mira gli sciocchi – riconoscibili dall’orecchio piccino e dalla camminata – e le persone semplici che si lasciano facilmente “abbindolare”.
Il testo, oltre a fornire diverse definizioni di sciocchi e stolti, riporta anche aneddoti su alcuni personaggi noti in questo campo, come Abu Muhammad Jami il farmacista:
Ali ibn Mu’ad racconta: – Inviai una lettera a Jami’ il farmacista, egli scrisse la risposta e appose a mo’ di indirizzo: – “A colui che ha scritto a me” (p. 45)
Come tutte le opere del periodo abbaside, anche qui vale il principio dell’istruire divertendo, e l’umorismo è dunque concepito all’interno di una cornice religiosa secondo la quale è lecito divertirsi ma senza superare un certo limite. Ibn al-Jawzi ne è ben consapevole e lo dimostra nell’introduzione, spiegando quali sono i motivi che lo hanno spinto a redarre questo trattatello.
(Per chi fosse interessato un’altra lettura sull’argomento è: ‘Abd al-Qàdir Muhammad Mansùr, Mawsù‘at fann ad-dahk wa al-mudàhìk fi-l-islàm, Dàr al-qalam al-‘arabi, Halab 2002)
Magazine Cultura
Ibn al-Jawzi, Il sale nella pentola. Storie arabe di sciocchi e di folli, Il leone verde, Torino 2002
Alcuni studiosi contemporanei, come a esempio Margoliouth, ritengono che nella letteratura araba classica non sia possibile rinvenire lo humor.
In realtà la letteratura araba classica è ricca di versi, modi di dire e proverbi che testimoniano non solo dell’ovvia capacità di ironizzare e ridere degli arabi, ma anche della volontà di lasciarne traccia scritta.
Ridere e far ridere vengono definiti ni‘ma min ni‘am Allah e del riso troviamo traccia nel Corano e nei hadìth, dove spesso si afferma che il riso viene da Dio e il pianto dal diavolo. E se questo è un riso squisitamente arabo con la penetrazione dell’Islàm in territori non arabi i modi e gli argomenti di cui ridere si sono modificati col tempo includendo apporti greci e persiani e soprattutto grazie ad autori medievali, spesso di origine non araba.
Il sale nella pentola è uno di questi testi, che prende di mira gli sciocchi – riconoscibili dall’orecchio piccino e dalla camminata – e le persone semplici che si lasciano facilmente “abbindolare”.
Il testo, oltre a fornire diverse definizioni di sciocchi e stolti, riporta anche aneddoti su alcuni personaggi noti in questo campo, come Abu Muhammad Jami il farmacista:
Ali ibn Mu’ad racconta: – Inviai una lettera a Jami’ il farmacista, egli scrisse la risposta e appose a mo’ di indirizzo: – “A colui che ha scritto a me” (p. 45)
Come tutte le opere del periodo abbaside, anche qui vale il principio dell’istruire divertendo, e l’umorismo è dunque concepito all’interno di una cornice religiosa secondo la quale è lecito divertirsi ma senza superare un certo limite. Ibn al-Jawzi ne è ben consapevole e lo dimostra nell’introduzione, spiegando quali sono i motivi che lo hanno spinto a redarre questo trattatello.
(Per chi fosse interessato un’altra lettura sull’argomento è: ‘Abd al-Qàdir Muhammad Mansùr, Mawsù‘at fann ad-dahk wa al-mudàhìk fi-l-islàm, Dàr al-qalam al-‘arabi, Halab 2002)
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