Il salotto di Borsellino

Creato il 11 luglio 2012 da Lundici @lundici_it

Una ventina di giorni prima di essere ammazzato, Borsellino rilasciò un’intervista a Lamberto Sposini, all’epoca giornalista del TG5. L’intervista fu realizzata a casa del giudice, a Palermo.

Paolo Borsellino durante l’intervista a Sposini

Borsellino ha il volto tirato, l’espressione cupa, lo sguardo spesso rivolto chissà dove. Al suo fianco, sul divano si intravede un posacenere con l’immancabile sigaretta. Raramente appare un sorriso, solo quando racconta di Giovanni Falcone morto poche settimane prima.

Il video dell’intervista è integrale, ossia si può vedere quando, a volte, Borsellino deve rispondere due volte alla stessa domanda, perché la prima non è venuta bene, perché per sbaglio si è spenta la luce o il cameraman non era contento dell’inquadratura. Quando Borsellino risponde nuovamente, alla medesima domanda, utilizza sempre parole e costruzioni sintattiche diverse: non si limita a ripetere pedissequamente ciò che aveva detto pochi secondi prima. Mostra una proprietà di linguaggio elegante, un frasario d’altri tempi. Chi parla male, pensa male diceva qualcuno. E dunque chi parla bene, pensa bene. Borsellino pensava bene e soprattutto pensava e parlava con cautela, con garbo, in pieno rispetto delle regole della buona educazione e della sua professione che prevedono di evitare proclami e scorciatoie mediatiche.

Oltre alle parole ed al volto tirato di Borsellino, ciò che colpisce è l’ambiente circostante: la casa del giudice. Diverse inquadrature scoprono tappeti messi al posto giusto, il divano con ricami antichi, i cuscini curati, l’orologio a pendolo che suona…uno stile ed un’eleganza fuori moda, nobili (nel senso di decorosi), “per bene”…in linea con le parole, l’azione e la vita di Borsellino.

Lamberto Sposini e Paolo Borsellino

Il giorno in cui fu ammazzato, una domenica pomeriggio di luglio, Borsellino era stato a fare il bagno al mare: aveva ancora il costume bagnato in macchina…Il giorno in cui fu ammazzato, una domenica pomeriggio di luglio, gli abitanti dei palazzi intorno al luogo dell’esplosione raccontarono: “Stavo guardando il Tour de France alla televisione quando….”.

Una domenica pomeriggio di luglio…il Tour de France alla tivvù…starsene spaparazzati su di un bel divano, magari dopo un bagno al mare….Quanto era vicina a Borsellino una vita del genere! Quanto era semplice sceglierla…la stessa vita che fa la maggior parte di noi…Una domenica tranquilla nell’elegante salotto di casa, con i libri e i quadri a posto, la scrivania dello “studio” oltre la porta scorrevole, cullato dal procedere delle biciclette su di una montagna assolata e lontana mentre un pendolo scandisce pigramente il tempo ed ogni tanto tua moglie ti domanda se ti va un caffé…

Quanto era semplice, ogni giorno, per lui poter optare per una vita così: senza immischiarsi in storie di mafia, senza andare fino in fondo, senza fare il proprio dovere costi quel che costi. Piccoli compromessi, chiudere un occhio ogni tanto…tutti fanno così…Non si trattava (e non si tratta) di una scelta assoluta tra mafia e non-mafia, tra bianco e nero: la “zona grigia” è sconfinata ed offre infiniti rigagnoli per pulirsi la coscienza: si poteva (e si può) anche solo lasciare un po’ perdere in alcune occasioni, non approfondire, non andare a toccare certe persone…Non costava nulla, era molto facile, molto vicino, era lì in quel salotto elegante. E allora quella domenica pomeriggio sarebbe stata fatta solo di “Tour de France”, del silenzio del pendolo, di capelli bagnati di acqua di mare sul cuscino di un bel divano. Invece di saltare in aria bruciato, con un braccio staccato, sotto casa di tua madre dopo anni di angoscia e di paura.

Borsellino “se l’andò a cercare”

Una volta, Giulio Andreotti dichiarò riguardo alla morte di Giorgio Ambrosoli: “Se l’è andata a cercare”. Esatto! Borsellino come Ambrosoli se l’andò a cercare! Ossia non visse, né si comportò come Andreotti lascia intendere che si debba fare di fronte ai soprusi, ai criminali, alle ingiustizie e soprattutto di fronte al proprio dovere: Borsellino rifiutò ogni trattativa, ogni compromesso, ogni accomodamento che avrebbe potuto consentirgli di vivere tranquillo, fare una carriera dignitosa e godersi i nipotini le domeniche pomeriggio al mare.

Del resto questo è ciò che vuole la mafia: che nessuno si metta di traverso, che nessuno le dia fastidio, che nessuno voglia fare l’”eroe”. Eppure questo è il punto: Borsellino non è stato un “eroe”. Siamo piuttosto noi, ogni volta che quotidianamente guardiamo “dall’altra parte”, a fare di Borsellino un eroe; per non doverci confrontare con ciò che lui ha fatto e anche noi potremmo fare. Perché se Borsellino è stato un eroe, vuol dire che è stato una persona fuori dal comune, straordinaria, diverso e migliore di noi e quindi noi – in quanto persone “ordinarie” – siamo giustificati ed assolti ogni volta che non siamo come lui e non ci comportiamo come dovremmo.

Le immagini del salotto di Borsellino smascherano questo ragionamento vigliacco e auto-assolutorio: Borsellino era come noi, non era un individuo fuori dal mondo, non viveva in chissà quale maniera aliena a come viviamo noi tutti. Quelle immagini “rubate” di casa sua ci inchiodano ad una verità tanto evidente quanto scomoda: come noi aveva paura e come noi amava una casa ben curata, trascorrere le domeniche pomeriggio al mare e guardare il Tour de France. Solo che lui aveva scelto di non voltarsi dall’altra parte, di non far finta di nulla, di non lasciarsi sedurre dall’abbraccio del “Ma chi me lo fa fare?”. Tutte cose che anche noi – persone ordinarie – possiamo scegliere di fare ogni giorno, in qualsiasi contesto.

Un conterraneo di Borsellino, Luigi Pirandello, scrisse: “È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’esser sempre“. Borsellino fu un galantuomo, non un eroe. Perché ogni giorno, “se l’andava a cercare”, ossia ogni giorno – nonostante una vita tranquilla e “andreottiana” fosse lì a portata di mano, su quel divano ricamato – sceglieva di compiere il proprio dovere, seguendo le regole ed i valori in cui credeva. I mafiosi, gli usurpatori, i violenti non temono tanto gli eroi – che come scritto da Pirandello possono essere tali una volta tanto – quanto i galantuomini che sempre rifiutano la logica del privilegio, della violenza, della prevaricazione del più forte sul più debole.

In un’intervista chiesero a Giovanni Falcone chi glielo facesse fare. E lui, quasi con un sorriso sulle labbra, come sapendo di affermare un’assurdità in un mondo fatto di egoistici compromessi, rispose: “Lo spirito di servizio, soltanto quello”.
Una risposta d’altri tempi, una risposta da galantuomo.

L’intervista di Sposini a Borsellino è a questo link.


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