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Il sangue amaro

Creato il 10 maggio 2010 da Olineg

Il sangue amaro

C’è una cosa che non capirò mai dell’animo umano; quello che passa nella mente a gente capace di tutto pur di diventare ancora più ricca. Ok, capisco la bramosia di denaro, ma dai racconti di uomini come Giampaolo Tarantini e Diego Anemone, imparo che c’è un punto in cui per mantenere la propria ricchezza bisogna investire tutto il proprio tempo in pubbliche relazioni, corruzioni, operazioni losche e quant’altro, e non si ha materialmente il tempo di godersi le proprie facoltà, e la cosa diventa, paradossalmente, anti-economica. E’ come con i grandi boss mafiosi, per tutta la vita hanno ammazzato e tramato per il denaro, e poi magari finiscono latitanti sepolti vivi nel seminterrato di una casa in campagna, impossibilitati a spendere un solo centesimo. Eppure continuano a tramare. Ci deve essere qualcos’altro. “Cumannari è megghiu ca futtiri” dicevano molti, e lo diceva anche Ciccio Ingrassia nei panni di uno democristiano corrotto e penitente, nel dimenticato “Todo Modo” di Elio Petri. Ma il “cumannari” non può essere la libido principale di un avventuriero dell’illecito; Andreotti, per restare in linea alle suggestioni del romanzo di Sciascia e del relativo adattamento di Petri, insegna che è la politica la via maestra per “cumannari”, e la storia recente ci insegna che gli imprenditori, quando scendono in politica, lo fanno per difendere le proprie natiche da imprenditori, piuttosto che per il fascino e la perversa sessualità del potere politico, magari poi ne vengono sedotti, ma finché sono liberi di speculare, finché c’è qualcuno che garantisce per loro nelle sedi istituzionali, rimangono a fare gli imprenditori. Per i boss della mala, spesso, nell’autunno e nell’inverno della vita, compare la luce della fede, cosa alquanto frequente per i capi di cosa nostra, interpretano la loro vita pregna di morte come una missione divina. Interessantissima è la simbologia religiosa della ‘ndrangheta, e non solo la simbologia interna, anche l’affezione alla liturgia vera e propria; per la Pasqua 2010 il parroco di S.Onofrio, in provincia di Vibo Valentia, ha deciso di non celebrare la tradizionale processione de L’Affruntata, perché la statua di san Giovanni veniva portata, altrettanto tradizionalmente, da personaggi di dubbia moralità, in tutta risposta i fedeli delusi hanno esploso vari colpi di arma da fuoco sul portone della Congrega, una tale devozione non si sentiva, penso, dai tempi delle crociate. Ma non mi risulta che in casa di Alfredo Romeo la guardia di finanza trovò santini, come nel rifugio di Totò Riina. C’è un ingranaggio, nel meccanismo psicologico dell’imprenditore pronto a tutto, che mi sfugge. O forse non c’è. Forse uno accumula ricchezza solo per inerzia, lo ha cominciato a fare perché aveva necessità materiali e poi non si è fermato più, non si è accorto che la necessità non c’era più, che era lontana anni luce. Ma non regge neanche questa, perché la maggior parte dei personaggi non politici, implicati nelle grandi inchieste di corruzione di questi anni, sono figli di altri imprenditori, vengono da famiglie più che benestanti. Forse il propulsore è proprio quello, il desiderio di diventare meglio dei padri, laddove il concetto di “meglio” è ovviamente assai arbitrario. Quindi la prossima volta che avete davanti un riccastro arrogante, presuntuoso e prepotente, non incazzatevi, non fate sangue amaro, si tratta solo di un bambinone che non ha mai superato il complesso di Edipo. Un bambinone che se ha sbagliato non va messo in castigo ma in carcere, ma questo è un altro discorso.



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