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Il Sapore del Baobab

Creato il 13 febbraio 2014 da Giovy

Viaggio in Senegal

Picture from Wikimedia Commons

Questo Baobab assomiglia molto a quello che vidi, un bel po' di tempo fa, l'ultima sera che passai in Senegal. Il mio viaggio in Africa Occidentale nacque quasi per caso ma ebbi la possibilità di viverlo in modo molto intenso, capendo tante cose di me e del mondo. Come, per esempio, che il baobab possiede un frutto che si beve.
Era un pomeriggio di fine Dicembre e, malgrado l'inverno, io me ne giravo tranquilla per Thiès in canottiera, bermuda e sandali. Quel giorno Thiès sembrava una città particolarmente ferma perché Natale era passato da poco e la folta comunità cristiana della zona era ancora in totale fase di riposo.
Quel giorno si arricchì, inoltre, della festa musulmana della Korité, questo è il termine wolof usato in Sénegal. La Korité è la fine del Ramadan e tutto taceva perché la festa sarebbe esplora poco dopo, la sera di quel 27 Dicembre.
Thiès è una città a maggioranza cattolica e il dialetto parlato da quelle parti è il serère, una lingua che imparai ad ascoltare il giorno di Natale quando festeggiai proprio sotto un baobab.
Per la Korité solitamente si organizza una festa grande dove si mangia il capretto, dove si balla e si osservano i giovani del villaggio che praticano una forma tradizionale di lotta corpo a corpo.
Mi recai poco distante dalla strada principale di Thiès, in un villaggio dove abitava una signora che si chiamava Mane. Lei faceva la governante nella struttura dove dormivo e dove aveva sede un'associazione non governativa. Per lei era un motivo di vanto avere degli ospiti stranieri per la sua tavola della Korité.
Appena mi vide arrivare corse verso di me con un bicchiere pieno di un liquido biancastro.
Feci un bel respiro perché in occasioni del genere e per il rispetto delle persone che ti invitano non puoi rifiutare ciò che ti porgono. Il viaggio insegna anche questo.
Si trattava di succo di baobab... me lo spiegò con entusiasmo in un francese che sapeva di antichità magnifica. Mi raccontò che si offre in segno di saluto e mi raccontò del frutto del baobab che si coglie e che si frantuma, per poi mescolarlo con dell'acqua.
Stavo quasi per chiederle se si trattasse di acqua in bottiglia ma capii subito di essere fuori luogo.
Sorrisi, afferrai il bicchiere e ne mandai giù tutto il contenuto.
Il sapore era molto buono, quasi "lattoso" ma nello stesso tempo molto rinfrescante.
Quel pomeriggio ne bevvi almeno altri 4 bicchieri mentre guardavo quella versione africana della lotta greco-romana e mentre osservavo donne vestite di ogni colore ballare felici e sorridenti.
Il senso del mio viaggio in Africa, quella volta, era proprio racchiuso in quei sorrisi, in quegli occhi raggianti e in quel ritmo tribale che si diffondeva nell'aria quella sera.
Aspettai il tramonto, abbracciai Mane e la sua gente.
Voltai le spalle al villaggio e mi incamminai di nuovo verso la strada principale.
Come in tutti i migliori grandi addii, arriva sempre il momento in cui stai camminando verso il punto che ti eri prefissa ma, puntualmente, ti giri per rimirare ciò che stai lasciando.
Fu in quell'istante che i miei occhi si posarono su di un baobab grandissimo che, visto contro la luce del tramonto, sembrava un grande gigante pronto a corrermi incontro per abbracciarmi.
Quella lì... era proprio quella la mia Africa, quella vista contro il tramonto e quella che lasciava dentro di me il gusto fresco di quel succo di baobab fatto con l'acqua del pozzo.

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