Lunchbox è il primo film di Ritesh Batra, un regista indiano originario di Mumbai (già noto da anni nei circuiti cinematografici internazionali per i suoi cortometraggi). La storia si svolge nella caotica e speziata metropoli di Mumbai e, più precisamente, nel mondo frenetico (ma organizzatissimo) dei cosiddetti “Mumbai Dabbawallahs”: solerti fattorini addetti alle consegne dei pranzi; custoditi in curiosi cilindri di acciaio, suddivisi in più scomparti e protetti da una guaina termoisolante, i pasti caldi della tradizione indiana viaggiano sui risciò dei Mumbai Dabbawallahs da un capo all’altro della città, e arrivano a destinazione miracolosamente sempre integri e puntuali.
Un banale errore di consegna offre il la per un incontro davvero singolare, quello tra la giovane e bella Ila (la cuoca) e il più maturo e ancora piacente Saajan (il destinatario del lunchbox), un impiegato ormai a un passo dalla pensione. Ila è una casalinga, ha una bambina piccola di cui deve occuparsi, un marito assente (coinvolto in una relazione extraconiugale) e conduce una vita solitaria e poco stimolante, addolcita solo dalla presenza di una simpatica zia al piano di sopra. Tutti i giorni la donna prepara il pranzo per suo marito e lo fa con la massima dedizione, misurando con talento i sali e le spezie e abbinando con cognizione le singole pietanze. Per un fatale scambio di indirizzi (errore rarissimo tra gli efficientissimi Dabbawallahs) il pregiato pasto finirà per diverso tempo nel palato di uno sconosciuto… e così, dall’altra parte della città, Saajan scompone il cilindro del lunchbox e dispone le cinque scodelle ogni volta con rinnovato stupore: non è il suo solito pranzo a base di cavolfiori consegnato dal ristorante (quello, sempre per via del medesimo errore, verrà regolarmente recapitato sul posto di lavoro del marito infedele di Ila); è un pasto troppo raffinato, troppo speciale per provenire da una cucina ordinaria, ma Saajan ce ne metterà un po’ prima di realizzare. Con le sue abilità culinarie Ila mira inizialmente a riconquistare suo marito e a ricucire la sua famiglia, ma l’errore di consegna del lunchbox cambia presto le carte in tavola. I due, incuriositi ed eccitati dalla situazione, cominceranno a inviarsi biglietti, piccole comunicazioni, all’inizio solo chiarimenti, poi tutto assumerà i toni sottesi del linguaggio amoroso.
È il lunchbox a metterli in comunicazione, alla stregua di un piccione viaggiatore. Nascosti e ripiegati nello scomparto del chapati (il tipico pane indiano simile nella forma alla nostra piadina) questi foglietti sono come i messaggi in bottiglia, segnali e richieste d’aiuto. Tanto Ila quanto Saajan conducono vite insoddisfacenti, insipide e solitarie. Nello spazio caldo, rassicurante, privato del cilindro Ila e Saajan provano a immaginare una vita assieme, in un’altra città, lontani da quel torpore che scandisce le rispettive quotidianità.
Le dinamiche dell’insolito scambio epistolare richiamano certe atmosfere di 84 Charing Cross Road, il capolavoro di David Jones del 1986. Come gli indimenticabili Helene Hanff e Frank P. Doel (interpretati da Anne Bancroft e Anthony Hopkins) Ila e Saajan (rispettivamente Nimrat Kaur e Irrfan Khan) stringono un sodalizio amoroso senza incontrarsi mai. Prodotto in collaborazione con “TorinoFilmLab” Lunchbox ha ricevuto il Premio del Pubblico a Cannes. Assolutamente lontano dal sentimentalismo becero di Bollywood, Lunchbox racconta un’altra India e lo fa attraverso i toni misurati e rigorosi di una commedia profonda e intelligente, capace di divertire senza scadere nella battuta e nella gag. Divertentissimi gli sguardi perplessi del collega d’ufficio di Saajan, testimone suo malgrado dello strano rapporto che questi comincia man mano a intrattenere col suo lunchbox. Altra figura interessante è quella della zia di Ila, una presenza invisibile che è anche simbolicamente partorita dalla solitudine domestica della protagonista. Di questi tempi è vero, si cucina troppo al cinema e in televisione, ma Lunchbox ha davvero un buon sapore. Assolutamente da gustare.
Elena De Santis
Cover Amedit n° 17 – Dicembre 2013. “Ephebus dolorosus” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 17 – Dicembre 2013
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