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Il sarto

Da Scribacchina

Di me si dice che sono burbero.
Mai sorridente.
Silenzioso, scostante.

Forse un po’ scontroso lo sono per davvero.
Solo al mattino, però, prima di entrare in sala operatoria.
E’ una maschera, sapete. Un modo per nascondere la paura di far del male a chi si affida a me, a chi è convinto che risolverò i suoi problemi.

… Il mio nome, chiedete?
Che sciocchezza, un nome.
Vi basta sapere il mio mestiere: sono un chirurgo.
Un mestiere tanto pesante da toglierti il sonno.
Se commetti il minimo errore non puoi tornare indietro.
Se sbagli distruggi due vite: quella del paziente e la tua.

E hanno il coraggio di darmi del burbero…
Gente sciocca e superficiale.

Una volta mi chiamavano «il sarto».
Lo dico senza falsa modestia: le mie cuciture erano le migliori.
Erano sempre perfette.
Come quelle della
réclame della macchina da cucire, ricordate?
… Bah, cosa lo dico a fare: siete troppo giovani per averla vista.

Quante sere ho passato così, esercitandomi su una pelle di maiale.
Inseguendo il totale controllo delle mani.

C’era quel taglio che mi guardava, e io tornavo sempre lì, con l’ago e il filo di sutura, cercando di chiuderlo alla perfezione.
Ogni punto nasceva in testa prima di entrarmi nelle dita, ogni punto doveva essere identico al precedente e al successivo; ero un giudice molto severo, non ammettevo errori.

In cucina c’era solo il lieve rumore del ferro da stiro di mia moglie.
Lo sbuffo del vapore, la carezza della piastra sulla stoffa.

Poi scucivo, rimettevo la pelle nel congelatore e andavamo a letto.
E’ stato tanto tempo fa, eravamo giovani.

C’è chi dice che sono burbero.


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