Andando oltre le discussioni più o meno tecniche sul caso Grecia, dovremmo porci una domanda: un popolo alla fame come quello greco è in grado di esprimere serenamente e razionalmente il proprio parere tramite referendum su una questione importante e complicata come la attuale, ovvero se accettare o no le condizioni dell'Europa?
Inevitabilmente mi vien spontaneo porvi una seconda domanda: il premier di quello Stato farà di tutto per raccontare ai propri cittadini come stanno le cose veramente dando loro gli strumenti per votare con cognizione di causa, oppure approfittandosi anche della situazione tragica racconterà tre balle populiste così da indurre il popolo a votare come egli preferisce?
Dico questo perché è molto facile vincere le elezioni in uno Stato sull'orlo del fallimento presentandosi come un santo venuto dal cielo, presentando un programma non attuabile neanche nel paese più ricco ed incolpando delle proprie disgrazie chi ti ha prestato duecentoquaranta miliardi di euro e adesso, a ragion veduta, li rivuole indietro.
Questo è Tsipras, il premier greco che evidentemente non sta riuscendo nel suo proposito di salvare la Grecia. Ha indetto un referendum per decidere se seguire le direttive di Bruxelles o no. Un po' come se il padre di una famiglia malandata e povera chiedesse il parere dei suoi familiari sul pagare o no il debito che egli contrasse anni prima con una banca. Ovvio che loro siano indotti a dir di no, ne va del loro futuro e del loro benessere. E' evidente però che un premier serio non possa basare una scelta tanto fondamentale sugli umori di un popolo che non può più ritirare soldi ai bancomat o comprare medicine in farmacia. Un popolo al collasso insomma.
E nonostante egli aborri l'idea di chinare il capo davanti all'Ue, ha la faccia tosta di proporre di rimandare il pagamento dei debiti greci e pretendere addirittura un ennesimo finanziamento al suo Paese.
Che l'Unione europea compia passi falsi e sia esageratamente a trazione tedesca è un dato di fatto. Ma non per questo si può scusare l'impudenza di un giovane premier che antepone i propri diritti ai propri doveri. E neanche ha il buon gusto di indossare una cravatta.