Il segno delle dita

Da Marcofre

- Che cosa ti sei messa in faccia? – disse lui, quando Lydia tornò in macchina.
- Fondotinta. Mi sono truccata per sembrare più allegra.
- Si vede il segno delle dita, sul collo.

Ecco. Un autore (in questo caso: autrice. La scrittrice canadese Alice Munro), non ha bisogno di molte emozioni o sentimenti per costruire una storia, mostrarne i passaggi. Anzi.

Di recente ho letto da qualche parte una pubblicità di un libro, e di questo bel tomo si scriveva che le emozioni avrebbero travolto il lettore, o qualcosa del genere.

Può darsi che sia tutta una tattica del marketing e di emozioni non ce ne sia nemmeno l’ombra. Oppure, spero che nel travolgimento non solo gli eventuali lettori, ma anche lo scrittore siano precipitati a valle e schiantati.

Perché l’essere umano fa così paura? Per quale motivo bisogna parlare di acqua fresca (emozioni, appunto), quando invece è la carne e il sangue che muovono ogni cosa? Un bel quesito.

Immagino che questo accada perché si vorrebbe una creatura semplice, comprensibile, da educare con facilità. Questo ingrediente è sbagliato? Lo sostituiamo con quest’altro, e saremo felici. Vivremo mano nella mano per sempre.

E se mi devo soffiare il naso?

È una sorta di convinzione quasi collettiva, che ha paura della complessità dell’individuo. Ma sto divagando.

Quel segno delle dita sul collo parla più di mille emozioni. Zia Flannery (O’Connor) in un suo intervento presso un’università dove teneva una lezione di scrittura, riportava il pensiero di una sua amica. Secondo costei, per rendere reale un oggetto sono necessari almeno tre tocchi dei sensi attivi. E questa era una lezione che arrivava direttamente da Flaubert. Nella frase di Munro non sono tre, ma mi paiono sufficienti. Lo sguardo di lui, le dita sul collo. Altro che emozioni.

È vita. Carne sangue e tutto il resto. Si parte da questo, oppure non si parte affatto e ci si rimira l’ombelico.


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