Il segreto dei suoi occhi
di Billy Ray
con Chiwetel Ejiofor, Nicole Kidman, Julia Roberts
Usa, 2015
genere, thriller
durata, 131'
In questo caso solo il cinema potrebbe salvarci. Poiché l'unico modo di accostarsi al remake de "Il segreto dei suoi occhi" di Billy Ray senza provare nostalgia per la sua versione originale sarebbe quella di dimenticare il film di Juan José Campanella, facendoci aiutare dagli sceneggiatori di "Se mi lasci ti cancello". Nell'impossibilità che tutto ciò si possa realizzare in tempo utile per la scrittura della recensione, non ci resta che affrontare la consapevolezza di quel precedente e dunque valutare gli esiti di un film che professa le sue intenzion nella tipologia della confezione, debitamente adattata agli standard del pubblico americano e internazionale, a cui il film ammicca predisponendo un cartellone da premio Oscar; con la new entry costituita da Chiwetel Ejiofor, fresco di nomina per il ruolo da protagonista in "12 anni schiavo" ad affiancare due veterane dell'Academy come di Nicole Kidman e di Julia Roberts, ricche di premi e di nomination. Per chi ancora non lo sapesse, la vicenda del film è destinata a ruotare attorno al brutale omicidio di una ragazza e ai successivi tentativi di catturarne il colpevole da parte del detective incaricato di occuparsi del caso e del vice procuratore distrettuale che in qualche modo si ritrova a coadiuvarlo. Suddivisa in due diversi archi temporali, la storia procede alternando un prima e un dopo che scaturiscono dalla decisione delle autorità di liberare l'assassino che, una volta assicurato alla giustizia, viene rilasciato per poter continuare a svolgere il lavoro di informatore necessario a sgominare un importante rete terroristica.
Intenzionato a sfruttare il potenziale divistico dei suoi attori, il regista promuove il personaggio di Jess (Julia Roberts), la madre della vittima, a una visibilità maggiore rispetto a quella del corrispettivo argentino, facendola entrare in gioco non solo nelle varie fasi dell'indagine messa in piedi per catturare l'omicida, in cui interferisce e come parte in causa e come collega di lavoro del protagonista Ray Kasten, ma soprattutto, e qui secondo noi risiede una delle pecche del film, interfacciandola all'interno del rapporto tra Ray e l'algida Claire (Nicole Kidman); le cui dinamiche, sottratte al contesto intimo e privato per cui era nato dall'intrusione del terzo incomodo - rappresentato appunto dal personaggio interpretato da Julia Roberts - non riesce a rendere come dovrebbe la tensione amorosa che nei piani della sceneggiatura doveva qualificare quella relazione. Ora, tenuto conto che nel film del 2010 a fare la differenza era stata la perfetta sovrapposizione tra la materia criminale, legata appunto all'omicidio della ragazza, e quella melodrammatica, conseguenza della passione mai dichiarata che univa Benjamin e Irene; e che, sempre per rimanere nell'ambito della sfera emotiva, era stata proprio la legge del desiderio, considerato nelle sue forme più disparate (anche in quello malato e deforme provato dall'assassino nei confronti della vittima) a tenere compatta e a fornire il senso di una storia che altrimenti, presa nei suoi singoli filoni narrativi, presentava più di un punto debole, si può capire cosa significhi in termini di qualità il venire meno di queste caratteristiche. Che, nella trasposizione americana sono travasate in maniera parziale e attraverso una drammaturgia costruita su una serie di scene madri - da quella del ritrovamento del cadavere al confronto con il probabile assassino all'interno degli uffici della polizia - scaturite quasi esclusivamente dal plot criminale e dagli ostacoli proposti dal percorso investigativo e non dal non detto esistente tra Ray e Claire.
Così, snaturata dell'essenziale componente melò e ridotta a semplice criminal movie, la trasposizione americana ingigantisce quello che era stato il maggior difetto del modello originale, e cioè il fatto di promuovere una detection costruita sull'intuito invece che sulla ragione e su una successione di trovate che mettono a repentaglio ogni logica investigativa: come quella che consente a Kasten di risalire all'assassino e al movente del crimine desumendolo da un dettaglio fotografico di per sé irrilevante, oppure all'escamotage che consente a Claire di ottenere l'insperata confessione del presunto colpevole. A rimanere inalterato è dunque è lo scheletro del racconto e poi una liturgia di particolari poco significativi come quello del calcio estemporaneo sferrato dal detective al cane troppo zelante o il gergo da strada utilizzato da Claire durante l'interrogatorio decisivo, e ancora il ricorso all'ambientazione sportiva (con il football americano al posto del calcio) utilizzata per ricostruire il profilo del fantomatico omicida. A mancare è invece il coinvolgimento e la trepidazione per la sorte dei personaggi che, soprattutto per quanto riguarda il comparto femminile, risente della svogliata prestazione delle due divine, troppo comprese nel proprio ruolo di star per calarsi nell'inquietudine esistenziale dei rispettivi caratteri.
(pubblicata su ondacinema.it)