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Il segreto dei suoi occhi – la recensione di Eugenia

Creato il 01 settembre 2010 da Soloparolesparse

E ripartiamo anche con le vostre recensioni, dando il ben arrivato ad Eugenia che entra a far parte del gruppo parlandoci di Il segreto dei suoi occhi di Josè Campanella.
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Il segreto dei suoi occhi – la recensione di Eugenia

Ambientato tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80,ai tempi della dittatura militarista argentina,questo noir dal sapore antico, che ha “sciolto” l’eleganza de “Il nastro bianco” di Haneke e dissacrato “Il profeta” di Audiard, è riuscito ad imbarazzare la modestia di Juan Josè Campanella, consegnandogli l’ambita statuetta.
Sorprende per la versatilità di genere, che dal noir sconfina nel melò per poi strizzare l’occhio al film storico-politico, a quello documentarista di denuncia, fino alla speculazione filosofica sul vero senso della giustizia e sulla giusta punizione per un omicidio (ergastolo? pena di morte?).
Ricorda a tratti le calde e colorate ambientazioni almodovariane, anche nel fascino discreto ed ombroso di Ricardo Darin, che un pò somiglia a Bardem, e nella sensualità e profondità di sguardi della Villamil, che invece ricorda la Cruz.

Tratto dal romanzo di Eduardo Sacheri “La pregunta de sus ojos”, il film si articola in alcuni flashback che non sono, come spesso accade, artificiosi strumenti per tenere desta l’attenzione dello spettatore e non annoiarlo, ma corrono sullo stesso binario della storia raccontata, proprio come nella suggestiva scena in stazione dell’avvicinamento-allontanamento di Irene e Benjamin, invischiati in un amore sotteso e sottinteso, mai sbandierato, mai esplicitamente dichiarato, ma vissuto più intimamente, attraverso le parole non dette, e quelle dette attraverso gli sguardi (“los ojos hablan…, a volte dicono fesserie, e allora è meglio tacere”), un pò ricordando l’amore mai consumato, gridato una sola volta de “Un cuore in inverno” di Sautet.
Memorabile (da sola si guadagna metà dell’ Oscar) la scena in piano-sequenza allo stadio che denota una bella padronanza della macchina da presa, un senso del ritmo coinvolgente e fa vivere, da seduti, la trepidazione dell’inseguimento.
E’ un film sulla memoria, che non sa dimenticare e fa fatica a perdonare, sul passato irrisolto, che non fa vivere serenamente il presente e impedisce la progettualità (come per il vedovo che, solo cristallizzandosi nel passato, trova la sua ossessiva ragione di vita), ma è un film soprattutto sullo sguardo, quello che insinua il dubbio circa l’identità dell’assassino, quello che esplicita la più intensa e istintiva comunicazione non-verbale di tutti i tempi, quella dell’ amore.

Un pò deludente a mio avviso il finale, troppo artificioso, troppo strumentalizzato, troppo “truccato”, come il cerone da scena per disegnare lughe e invecchiare volti, che filosofeggia su “Lascia aperta la porta” (frase più volte ripetuta da Irene a Benjamin nell’”ouverture” delle conversazioni private), che sembra voler segretamente “aprire gli occhi” sulla necessità di vivere il presente, chiudendo le porte del passato e spalancando quelle del futuro.


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