Un senso non ce l'ha...
Oggi ho abbracciato un amico. Ci siamo guardati e lo abbiamo fatto. Non mi ha respinto, lui. Non ha messo le sue mani sul mio petto per tenermi lontano, lui. La stima, l’amicizia e il volerci pure un po’ di bene, hanno permesso che ci sciogliessimo in quel modo, in un abbraccio che sapeva di complicità. Lui sta vivendo in questi giorni quello che io ho vissuto molti anni fa, compreso il senso di stordimento che ti assale quando la tua vita, ogni ora della tua giornata, è legata allo squillo di un telefono. Lo sa che ci sarà, sa perfettamente che quel maledetto trillo prima o poi arriverà, mentre ti sembra di vivere anche tu un’agonia che frustra perché non puoi fare nulla che elidere la tristezza. Impotente, come un vecchio alcolista. Quando il telefono squillerà, dall’altra parte sentirà una voce che gli dirà: “Mi dispiace” e metterà giù. Lui non potrà fare altro che guardare la cornetta e se qualche lacrima gli sarà ancora rimasta, si metterà a piangere. Spesso non avviene. A me è successo dopo mesi, a lui spero accada subito perché quel nodo alla gola che lo prenderà non ce la farà mica a mandarlo giù: un sasso, un grumo di pensieri che neppure il vino scioglie. Così nelle ore che precedono lo squillo pensi, anzi, ripensi. E i ricordi tornano nitidi come le liti, le incomprensioni, le parole violente che hai adoperato in un rapporto che non è vissuto solo di parole ma anche di abbracci, di baci, di un amore che avrebbe meritato di essere interpretato al meglio in ogni momento e in qualsiasi occasione, invece di essere abbandonato nello stanzone disadorno di un oblio ora incomprensibile. Credo che la consapevolezza di dover dipendere da uno squillo di telefono sia una delle perversioni della nostra epoca. Il cellulare ti mette in contatto diretto e immediato con una realtà che spesso avrebbe bisogno di essere mediata evitando di apprendere brutalmente un fatto che ti viene sbattuto in faccia con una violenza che rifugge ogni tenerezza, figuriamoci il rispetto. Il telefono, o meglio il cellulare, è diventato il mezzo con il quale nascono e finiscono storie, si concludono affari, spesso si stordiscono persone con un fiume di parole, si ricatta, si blandisce, si conquista, si disprezza, si lusinga e, soprattutto, si mente con la faccia che resta rigorosamente coperta e la voce che squilla nel raccontare puttanate. Ecco, il mio amico è legato a questo apparecchio infernale che, come quasi sempre avviene, trillerà di notte, magari alle 2 e 54, solo per sentirsi dire: “Mi dispiace”.