Oggi è il falso a dominare, questo lo sapevamo, ed Eco a quanto pare ci ha costruito sopra un teorema frammentario e popolare perfettamente nel suo stile. Ieri sera, però, ha aggiunto un aspetto che mi sta particolarmente a cuore e che secondo me dice tanto, tantissimo, per non dire tutto, del rapporto che la società di massa instaura con il sentimento del nuovo. E cioè che "un fabbricante di falsi per i servizi segreti (...) ha successo solo se racconta cose che si sapevano già. Se no i servizi non ci credono. La gente ha voglia di sentirsi dire cose che sa già".
Questa regola gestisce l'informazione e la costruzione del gusto degli utenti medi di qualsiasi media o espressione artistica: applicata alla musica porta al servizio sulla grande star del passato che ogni volta ritorna ma che in realtà non se ne è mai andata; applicata al cinema fa sì che consideriamo ancora autori registi invecchiati e involuti (Stone, Kitano, Kiarostami, sempre lì a rifare le solite robe, ma note e per questo accettate); applicata alla letteratura porta a De Carlo che sono vent'anni che inventa titoli con le parole attaccate o ripetute e la novità delle sue storie d'amore è tutta lì.
Come diceva Max Gazzè, per esempio, non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento... per esempio, non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento... per esempio, non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento... per esempio, non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento... per esempio, non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento... per esempio, non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento...