Il sesso “liberale” al tempo dei Borbone. Omosessuali puniti al Nord

Creato il 11 maggio 2015 da Vesuviolive

Affresco della cd. “Tomba del Tuffatore” di Paestum

Gli atti omosessuali, nei tempi antichi, erano una pratica diffusa e tutt’altro che anomala. Era normale vedere due uomini in atteggiamenti omosessuali durante un simposio, oppure due donne insieme nel gineceo.

Con l’avvento del Medioevo le cose cambiarono nettamente. La Chiesa cattolica puniva con la morte chi andava con persone dello stesso sesso ed è stato così per molti secoli, fino ad oggi in cui l’omosessualità è “tollerata”, anche se non mancano episodi spiacevoli di omofobia.

Ma una cosa che non tutti sanno è che le leggi sull’omosessualità vigenti nel Regno delle Due Sicilie erano le più illuminate dell’Italia prima dell’unificazione. Nel codice penale del Regno l’omosessualità non era nemmeno citata, infatti quando si parlava di reati sessuali (stupro, sevizie, ratto, violenza su minori, oltraggio al pudore e simili), il codice se ne occupava a prescindere dal sesso dei soggetti. Si riteneva, quindi, che il sesso della vittima fosse, dal punto di vista penale, un particolare per niente importante.

Nel regno borbonico, insomma, i rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso non erano proibiti ed erano considerati normali e leciti. In Piemonte e in Sardegna le cose erano diverse: nel codice penale del Regno di Sardegna l’omosessualità era considerata un crimine perseguibile dalla legge. L’articolo 425 del codice sabaudo puniva gli atti omosessuali su denuncia o in caso di pubblico scandalo. Quando nacque l’Italia Unita, il codice sabaudo venne imposto a tutto il territorio nazionale e al nostro Mezzogiorno e tutti gli omosessuali del Regno iniziarono ad avere timore di una persecuzione, ma l’impianto di quell’articolo riuscì dappertutto tranne che nell’ex Regno delle due Sicilie, dove fu infatti abrogato.

Incompatibile coi costumi del popolo meridionale, che da secoli considerava l’omoerotia un elemento naturale della vita quotidiana, la legge fu adattata così: la pratica omosessuale era un crimine a Torino ma non a Napoli, a Milano ma non a Bari, a Bologna ma non a Cosenza, a Cagliari ma non a Palermo. Dunque solo nel nostro Sud, si potevano coltivare i propri gusti erotici senza nessun timore di denunce, condanne ed arresti.

Questo duplice regime durò fino alla promulgazione, nel 1889, del codice Zanardelli, dove l’omosessualità veniva considerata del tutto lecita, a patto che fosse praticata in privato. Una dimostrazione del fatto che il nostro “arretrato” Sud è sempre stato molto più aperto dell'”avanzatissimo” Nord.


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