In queste settimane ho rivisto per l’ennesima volta in tv “Il Signore degli Anelli” di Peter Jackson, tratto dal romanzo di John R. R. Tolkien.
Mi piacciono i film d’avventura, che sono un modo di raccontare l’infinita storia della lotta del bene contro il male (le altre storie che vengono raccontate sono quelle d’amore, perché è noto che, da che mondo è mondo, stringi stringi questi sono i due temi che fanno da sfondo a tutte le storie di tutti i tempi).
Ricordo che comprai il libro di Tolkien prima che uscisse il primo dei film della trilogia: intorno al 1999, su consiglio di un amico. Il primo film lo vidi al cinema, agli inizi del 2002.
Su questo libro se ne sono dette e scritte di tutti i colori.
Per me il senso del romanzo è semplicissimo: è la storia di un gruppo di persone (“la compagnia dell’anello“) che, coesa e leale, combatte
per un obiettivo comune. In questa lotta emergono le loro debolezze e virtù: solo riconoscendo le prime, si possono sviluppare le seconde.Durante la lotta la compagnia cerca alleati: trovare alleati è essenziale per vincere le proprie battaglie.
Il loro nemico è un nemico vero, a trecentosessanta gradi, che combatte per distruggerli e quindi non merita alcuna pietà: è una lotta per la vita o la morte.
E’ una grande storia fantastica, nella quale trova spazio anche una grande storia d’amore, tra Aragorn e Arwen (interpratata da Liv Tyler), che rinuncia all’immortalità per amore.