[Japan] Il signorino (1906, tit. or. Bocchan) di Sōseki Natsume è un romanzo breve di genere umoristico che ha per protagonista un giovane tokyoita alla sua primissima esperienza di insegnamento (matematica con adolescenti in una scuola di provincia), dopo una carriera scolastica a sua volta non brillantissima. L'uomo non ha ancora ventiquattro anni ed è sempre stato, da ogni punto di vista il figlio "cadetto": i genitori hanno sempre mostrato più amore e interesse per il figlio maggiore e hanno digerito poco le sue monellerie infantili; solo Kiyo, serva fedele, ma umile e ignorante, l'ha sempre amato in modo assoluto, senza lesinargli aiuto e stima, ammirazione e fiducia incondizionata.
Forse è lei la vera protagonista, in trasparenza, de Il signorino: bocchan è l'appellativo con il quale la donna si rivolge al giovane e di lui - voce narrante - sappiamo per sua bocca tutto ciò che la morte della donna sigilla entro un'esistenza infantile. Come nel primo romanzo di Sōseki Natsume, Io sono un gatto (Il signorino è il secondo), lo sguardo attraverso il quale ci avviciniamo ai fatti e ai personaggi è quello straniante dell'infante, del ragazzino, della creatura "diversa", in qualche modo "inadatta". Ma nel Giappone dell'era Meiji, con la restaurazione dell'impero e la fine del primato degli shogun, quest'etica assoluta e inflessibile, questo senso dell'onore dell'uomo e l'assolutezza del samurai finiscono per scontrarsi con un'inattesa (e in fondo indesiderata) modernità.
Sōseki è un cosmopolita anomalo: felice del suo tempo, appare in molti casi come reazionario. Eppure non c'è in lui qualche forma di nostalgia, la sua cifra caratteristica non è il rimpianto, semmai uno stupore intriso di una forma di insofferenza per un qualche inganno subito. L'estraniazione è carica di un forte risentimento, come se la realtà fosse slittata rispetto a tutte le promesse (e le premesse): il "signorino" di questo romanzo e il gatto del precedente non fanno che stupirsi di fronte alla pochezza di molte persone e dell'assurdità dei fatti nei quali sono coinvolti. Hanno, è vero, un mare di preconcetti e il divertimento nasce quando questi "reagiscono" con un mondo tutto storto.
In fondo, Il signorino di Sōseki Natsume non è che il secondo canto di un poema del disinganno: oggetto del romanzo non è la realtà, ancora una volta episodica e farsesca, piena di un buonumore acido e severo, bensì proprio il risveglio improvviso e continuo. La voce narrante, la voce di un uomo giovane e sicuro di sé, integerrimo e orgogliosissimo per altro, ci offre uno scorcio di quel che non dovrebbe verificarsi. Il giovane professore è pronto, come Adamo, a ribattezzare tutto, però a differenza del primo uomo, il mondo preesiste a lui e non è possibile fare i conti senza l'oste. Colleghi, amici, locandieri si rivelano poco a poco, attraverso un processo di progressive correzioni, ripensamenti, voltafaccia. D'altro canto, ecco gli alunni, ecco la sorpresa: mentre gli altri professori di quella sperdutissima scuola di provincia rappresentano il passato, ciò che è, i ragazzi sono una nuova generazione, ciò che sarà. Il "signorino" non è perciò l'ultimo arrivato e questo mondo lontanissimo dalla capitale non è tutto ciò che si deve conoscere e sapere. C'è altro, c'è di più e la scoperta di questo "altro", l'esplosione fuori di sé è il vero salto di qualità che fa il personaggio e con lui il lettore. E che Kiyo, la serva buonissima e fedele, rimanga sullo sfondo è la prova di come il mondo infantile sia quel retroterra che ci portiamo dietro e teniamo insieme a distanza, apprezzandolo via via di più che ci rendiamo conto della sua natura quasi fiabesca e facciamo i conti con l'eccentrica inaffidabilità di ciò che non si conosce.