IL SILENZIO DI LENTH, di Luca Centi.
Piemme Freeway, 430 pagine, € 20,00.
Giudizio: Abbandonato a pag. 118
Ho tentato di arrivare alla fine di questo libro, ma mi sono arresa presto. La storia comincia in maniera interessante, narrando di quattro ragazzi terrestri che, attraverso una sorta di trip onirico, scoprono di essere i custodi di pietre magiche provenienti dal mondo di Lenth che sigillano un dio. Essendo queste minacciate da un uomo malvagio, i custodi partono per Lenth alla ricerca di una soluzione e di chiarimenti circa il loro ruolo. A questo punto l'ambientazione cambia e ci ritroviamo a Lenth a seguire le vicende degli abitanti del luogo, mentre i poveri custodi vengono abbandonati a chissà quale destino. Da qui la trama diventa noiosetta. E' vero, non ho letto molto, ma fin dove sono arrivata mi è parsa molto banale: un bambino viene trovato da un mago, si scopre che è figlio di un dio e, da quanto si evince dalla quarta di copertina, diventa un eroe. I personaggi risultano abbastanza bisimensionali, nonostante qualche tentativo poco riuscito di renderli più interessanti. Per esempio, in questo senso abbiamo un soldato tormentato per non essere riuscito a diventare un mago. A questo proposito devo fare un appunto negativo: ci troviamo in un villaggio in cui la gente fa il mago oppure, se non è portata, è costretta a fare il guerriero; ma se qualcuno invece volesse diventare contadino o artigiano? Come fanno a vivere in questo posto, chi produce cibo e utensili? Questo non è spiegato e da qui ci colleghiamo al punto più dolente del libro: è molto raccontato e per niente mostrato. Che cosa vuol dire in pratica? Che è impossibile per il lettore visualizzare ciò che accade, perché le descrizioni sono ridotte all'osso. Questo per altro azzera ogni possibile coinvolgimento emotivo. Per esempio, a pagina 100-101 si descrive una sessione d'addestramento militare di alcune giovani reclute senza minimamente accennare al luogo in cui si trovano. Di solito per scene simili uno s'immagina un campo di terra battuta con tende, rastrelliere per le armi, bersagli ecc... invece alla fine del paragrafo c'è questa frase: " - Come posso insegnare cose in cui io stesso non credo? - si chiese fissando i dipinti appesi sulla parete della stanza". Ma quale stanza? Quando mai è stato detto che siamo in una stanza? In altre occasioni, invece, si sprecano i dettagli inutili per es. pag. 118: "... concluse con tono grave, bevendo un bicchiere di litino tutto in un sorso, malgrado il suo elevato tasso di lizio, seme del fiore lito, utilizzato come ingrediente principale dagli stregoni per veleni e pozioni tossiche". A parte che, se questa sostanza è così tossica, non si capisce come sia possibile berla senza morire, la domanda è: obiettivamente, che utilità hanno queste informazioni per l'economia della storia? E' un libro noioso, scritto in un modo che fa calare a zero la voglia di proseguire, e secondo me è stato editato senza un'attenzione davvero scrupolosa, perché ho trovato alcune contraddizioni palesi:
Pag. 95. In questa frase, prima si afferma che il personaggio non capisce una cosa, ma poi in realtà si dà una spiegazione:
"Continuava a rileggerla da ore, cercando di capire come potesse una madre abbandonare il proprio figlio; nei piccoli paesi di Heldar la superstizione trovava spesso terreno fertile nella mentalità chiusa dei suoi abitanti. Non doveva dunque sorprendere se la nascita di un neonato con un marchio nero sulla fronte fosse stata accolta come segno di sventura".
Pag. 116. Queste sono le battute in sequenza di uno stesso personaggio, che non sa decidere se dare del voi o del lei al suo interlocutore:
"Lasciateci almeno spiegare i termini dell'accordo. Saremo noi a proteggerla e ad assisterla".
"Pensate piuttosto a ciò che ci guadagnereste voi".