Per una volta mi sembra che Eugenio Scalfari non abbia visto del tutto giusto – o, quanto meno, chi ha dato il titolo al suo editoriale del 24 febbraio ha peccato di ottimismo.
Il sistema delle patacche sembra non essere affatto tramontato, al contrario: sembra godere ottima salute presso il 40% dell’elettorato italiano, e il 52% dei votanti del 24 febbraio scorso; tutti quelli che hanno scelto e deciso di accogliere per buoni impegni e promesse della coalizione di Berlusconi e del movimento di Grillo.
Parlar male delle scelte degli elettori è considerato politicamente scorretto, quasi un insulto al popolo sovrano. Vero, è politicamente inopportuno che dirigenti di partiti e coalizioni cerchino – od anche diano soltanto l’impressione – di voler esorcizzare le responsabilità dei propri insuccessi prendendosela con l’incomprensione dell’elettorato. Ma questo non implica affatto che si debba ottenebrare od accantonare ogni capacità o volontà di giudizio, nei commenti di chi non detiene quelle funzioni, al punto di ritenere comunque valide, sensate e fondate le scelte degli elettori.
Le patacche più evidenti sono certamente quelle su cui ha fondato la propria campagna Berlusconi. Continuare – e, per tutt’altro che pochi, tornare – a credere a un simile piazzista, dopo l’esperienza che se ne è avuta – per quanto appetibili fossero la promessa di restituzione dell’IMU, e la congenita strizzata d’occhio ad evasori attuali e potenziali – richiede dosi di incoscienza e dabbenaggine davvero ragguardevoli: non foss’altro che per le immediate, evidenti ripercussioni negative che un successo di Berlusconi, grazie al consolidato discredito internazionale da lui accumulato, proietta sulla finanza pubblica nazionale.
Ma non è che le patacche prospettate da Grillo fossero da meno.
Certo, molti dei punti del programma-promesse di Grillo possono apparire del tutto innovativi, promettenti, condivisibili. Ma una patacca deve ben luccicare per essere tale, altrimenti che patacca è? Basta però guardarla un po’ più attentamente, e sotto angolazioni di luce diverse, per riconoscerne le magagne.
Qualcuno può veramente credere che si possa venire meno ai doveri di debitori impunemente? se questo fosse l’uovo di Colombo che si è voluto far credere, perché non vi dovrebbero ricorrere tutti i paesi fortemente debitori: forse perché noi Italiani siamo più furbi?
E chi può veramente credere che si possano risolvere i gli annosi problemi di arretratezza produttiva e competitiva del paese con i vaffa ad Europa ed Euro, e con la restaurazione della vecchia Italietta dedita alla droga svalutazioni-inflazione, sempre più fragile vaso di coccio nell’arena internazionale?
E’ possibile che qualcuno creda davvero di poter risolvere crisi, corruzione e malcostume politici buttando a mare, di fatto, il sistema parlamentare ed evocando la democrazia diretta – anzi, la democrazia delle connessioni, qualunque cosa ciò voglia dire – e sostituendo (?) cittadini a rappresentanti?
Non aggiunge proprio nulla alle connotazioni di questa patacca il fatto che nei sette capitoli del programma sbandierato dal M5S, in mezzo a tanto impeto di rinnovamento moralizzatore, non si spenda una sola parola su necessità e strumenti di una riduzione drastica dell’evasione fiscale?
Non trovo per nulla convincente la pletora di analisi “indipendenti” del voto del 24 febbraio che attribuiscono tutte e soltanto agli errori della coalizione PD-SEL – peraltro additati in termini contraddittori e spesso del tutto opposti, ad eccezione degli onnipresenti quanto indefiniti errori di comunicazione – le responsabilità delle scelte espresse dall’elettorato. C’è una diffusa reticenza a riconoscere che queste scelte evidenziano il rifiuto caparbio di una fetta maggioritaria di questo elettorato a misurarsi concretamente con la dura realtà della situazione e la sua inclinazione a fantasticarne illusorie vie di fuga: che sia il calcolo cinico di riuscire comunque ad arraffare singolarmente per sé, e per sé soli, a scapito degli altri, qualche vantaggio; o che sia il miraggio di repentine, radicali, risolutive palingenesi politico-sociali.
Da notare, poi, che in parecchi di questi commenti le più cocenti rampogne e i maggiori dileggi alla coalizione di centrosinistra – e, soprattutto, al PD - per non aver conseguito un successo elettorale, fino alla vigilia dato quasi per scontato, provengono proprio dagli elettori della lista Ingroia; elettori, cioè, che - per quanto non numerosissimi – comunque intendevano recare, e hanno recato, un loro specifico, preciso contributo all’insuccesso elettorale della coalizione! Commenti dettati, quindi, da un acume logico, più e prima ancora che politico, inversamente proporzionale al tasso di faziosità di questa intellighenzia.
Con le elezioni del 24-25 febbraio, in una fase di acuta e irrisolta crisi politica, economica e sociale, avrebbe potuto aprirsi la stagione di un governo che, sicuramente, non sarebbe stato foriero di fulminee e fulminanti palingenesi: ma che, altrettanto sicuramente, avrebbe consolidato il credito e la fiducia faticosamente e costosamente recuperati dal paese nel consesso Europeo ed internazionale; avrebbe apportato le correzioni possibili – ancorché lontane da quelle che ci vuole assai poco a vagheggiare – alle politiche di austerità del precedente governo Monti, in direzione dello sviluppo e dell’equità; avrebbe sicuramente ridotto il tasso di corruzione, immoralità, infedeltà fiscale che sfigura la vita politica, economica e sociale di questo paese; ci avrebbe restituito un sistema elettorale decente.
Un governo che, insomma, un qualche concreto progresso a questo paese l’avrebbe fatto compiere. Non certo una rivoluzione, civile e a cinque stelle o meno che fosse: ma una decisa inversione del cammino rispetto ad una incivile involuzione, apparentemente inarrestabile.
L’obbiezione a questa prospettiva – che tanti comunque considerano colpevolmente minimalista – è ben nota nella vulgata delle analisi correnti: perché mai il centrosinistra – e, in particolare, il PD – attuerebbero riforme che non hanno mai attuato in passato? Il fatto che centrosinistra e PD negli anni passati siano stati in minoranza non conta niente, per i tantissimi, i troppi, che hanno ingurgitato ed assimilato la patacca più grossa di tutte: “tanto sono tutti uguali”.
Ai singoli pataccari che dominano da divi la scena politica, se ne aggiunge infatti una pletora, costituita dai moltissimi, vecchi volti dell’informazione, della cultura, dello spettacolo, insomma, della società civile – tutti dichiaratamente e furiosamente insofferenti dei vecchi volti della politica – che hanno propalato a piene mani, o quanto meno cinicamente assecondato, la vulgata dell’inesistenza di una reale possibilità di scelta: tutti sdegnosamente avversi all’intollerabile, ricattatoria prospettiva spregiativamente definita del “meno peggio”, quanto ignari del fatto che di questa spesso si sostanziano, necessariamente, i processi democratici.
E oggi questi stessi pataccari fanno a gara, spendendosi e spandendosi tanto in commenti quanto in appelli talora un po’ patetici o in proposte di fantasiose soluzioni istituzionali, nell’accreditare gli eletti del Movimento 5 Stelle come il rinnovamento che avanza, sulle ali della rabbia e dell’indignazione, della giovane età, dell’estraneità rispetto alle istituzioni, e via vantando. Dimenticando però costantemente e caparbiamente di spiegare perché questi alfieri del rinnovamento hanno scelto – scelgono – come propri leader incontrastati e incontrastabili un personaggio come Grillo e il suo consigliere Casaleggio.
E dimenticando di spiegare come possa essere credibile l’adamantina devozione di questi rinnovatori al bene comune, professata con la ripetitività propria delle giaculatorie, quando poi mostrano di infischiarsi di quel bene comune da nulla che è il funzionamento delle istituzioni democratiche, di voler imporre agli altri un tutti a casa che, piaccia o non piaccia, non è sostenuto dalla maggioranza degli elettori, e di voler perseguire tranquillamente la strategia del tanto peggio tanto meglio.
Indignazione, rabbia, desiderio di pulizia che animano gli aderenti al Movimento 5 Stelle hanno senz’altro un oggettivo e condivisibile fondamento: ma che ciò possa ipso facto nobilitarne, giustificarne e legittimarne i comportamenti politici, quali che essi siano, è una enorme patacca.
L’ultima, sotto il profilo cronologico, del tuttora imperante sistema delle patacche e (e dei pataccari) da cui questo paese appare così largamente propenso a farsi ammaliare: sì, potrebbe proprio dirsi una patacca a cinque stelle.