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Il sistema duale tedesco in Italia – Ma da noi, studiare serve?

Creato il 08 febbraio 2016 da Propostalavoro @propostalavoro

«Dobbiamo fare come la Germania, o finiremo come la Grecia». Un leitmotiv che a ragione o a torto è diventato molto popolare. Noi, i primi e gli ultimi della classe Europa, un confronto ricorrente. Industriali come la Germania, ma mediterranei come la Grecia. Ma alla fine, chi siamo noi, siamo come la Grecia o siamo più simili alla Germania? O forse nessuno dei due paesi ci somiglia? 

Proprio ora che il Governo ha iniziato il lancio di una campagna per portare definitivamente in italia il sistema duale tedesco di studio e lavoro in apprendistato – il miglior sistema di placement in Europa – vogliamo proporre un confronto per capire non tanto a chi somigliamo, ma per conoscere meglio peculiarità e caratteristiche dei giovani che questo sistema sono chiamati a vivere ed affrontare. Per le prossime settimane, ogni lunedì proporremo una domanda che ci aiuti a capire chi sono i nostri giovani e perché

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Quali aspettative può avere un quindicenne verso il mercato del lavoro?

Per parlare di placement giovanile, il tasso di occupazione è un dato indispensabile: indica la capacità di allocazione del capitale umano di un sistema, indica, in altri termini, l’efficienza dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Tasso di occupazione, popolazione di età 20-29 anni

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Sono stati messi a confronto i tassi di occupazione della popolazione giovanile tra i 20 e i 29 anni, età tipica della transizione formazione-lavoro. Immedesimandoci in un teenager, proviamo ad immaginare che, ai suoi occhi, il mercato del lavoro sia quello raccontato da persone che hanno vissuto questa transizione in tempi recenti. Come si trova lavoro? Meglio il diploma o la laurea? Nei tre paesi considerati, la situazione non potrebbe essere più diversificata. Scomponendo la quota di occupati per titolo di studio, si possono fare alcune considerazioni.

  • La Germania rappresenta ciò che ci si aspetta dal mercato del lavoro: negli ultimi 25 anni il vantaggio competitivo dell'educazione terziaria si è mantenuto costante, mentre i titoli di studio inferiori hanno risentito di variazioni causate dalla crisi economica. La “gerarchia” è evidente: più alto il titolo di studio, più probabile essere occupati.
  • In Grecia, stando al grafico, il mercato del lavoro è polarizzato: da un lato i molto istruiti, dall’altro le persone senza titolo di studio secondario. Il diploma dà una garanzia di trovare lavoro molto bassa. In Grecia si richiedono persone o molto o per nulla qualificate.
  • I dati italiani lasciano spiazzati. Fino alla prima metà degli anni 2000, la situazione è rimasta paragonabile a quella greca. Nella seconda metà, invece, laurea e diploma hanno addirittura ceduto il loro vantaggio a favore dell’assenza del titolo di studio. Le ultime rilevazioni mostrano infine una differenza pressoché inesistente tra conseguire o meno un titolo di studio.

La generazione italiana che ha conosciuto il “boom dei senza titolo” è quella nata tra il 1975 ed il 1988. Attualmente l'età di queste persone va dai 27 ai 40 anni. In questa fascia di età è facile che rientrino molte delle figure prese a riferimento dai teenager italiani di oggi, quelle a cui chiederanno consigli su quanto sia utile studiare o quale mondo del lavoro li attenda. Considerando anche il numero di NEET nel nostro paese, è legittimo chiedersi se lo scoraggiamento e la disaffezione dei più giovani verso istruzione lavoro non nasca anche dalle delusioni della generazione immediatamente precedente. Per la via italiana al sistema duale, anche questo contesto dovrebbe essere tenuto in considerazione.

Forse, in Italia, l’attivazione dei giovani non dovrebbe essere intesa solo come un programma di accoglimento su base volontaria come è stata la Garanzia Giovani. Forse non è un compito che si può pretendere dai Centri per l’Impiego, sottodimensionati ed in difficoltà. Forse i sistemi di placement dovrebbero agire in prevenzione, non come cura. Nel prossimo articolo, alcuni suggerimenti su come si potrebbe prevenire l’inattività dei giovani italiani con uno strategico anticipo.

Simone Caroli


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