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Il soffio assassino delle stelle di tipo O

Creato il 11 marzo 2014 da Media Inaf
Rappresentazione artistica di due protostelle attorno a una stella di tipo O (quelle più calde e luminose). Nell'immagine si nota che le radiazioni della stalla stanno spazzando via gas e polvere del disco protoplanetario più vicino. Crediti: NRAO/AUI/NSF; B. Saxton

Rappresentazione artistica di due protostelle attorno a una stella di tipo O (quelle più calde e luminose). Nell’immagine si nota che le radiazioni della stalla stanno spazzando via gas e polvere del disco protoplanetario più vicino. Crediti: NRAO/AUI/NSF; B. Saxton

È una delle zone dell’Universo più prolifiche e adatte alla formazione di stelle e pianeti. Parliamo della Nebulosa di Orione, dove molti dei sistemi stellari in via di formazione, protostelle, (o proplyd) “daranno alla luce” nuovi pianeti, mentre molti altri non arriveranno mai alla fine del processo a causa delle potenti radiazioni ultraviolette provenienti da una stella di tipo O che spazzano via polvere e gas attorno nei dischi protoplanetari. È questo quanto è stato riportato nel recente studio di un gruppo di astronomi canadesi e statunitensi, che ha usato l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) per studiare la fatale (è il caso di dirlo) relazione tra le luminose e calde stelle di tipo O (a volte anche più luminose del Sole) e le protostelle nella Nebulosa di Orione.

Posta a sud della Cintura di Orione, ospita, infatti, molte stelle dalla grandezza simile al Sole. Nel corso di pochi milioni di anni, granelli di polvere e di giacimenti di gas si combinano formando corpi sempre più grandi e densi. Se lasciati indisturbati è proprio da queste formazioni che si possono formare sistemi stellari con pianeti di diversa grandezza. Fondamentali in questo complesso processo sono le esplosioni di massicce stelle sotto forma supernovae, che rilasciano nello spazio circostante polvere ed elementi pesanti che forniranno la materia prima proprio per le nuove generazioni di stelle. Come si suol dire, però, “non è tutto ora quel che luccica”. Queste stelle non sempre forniscono il propellente per nuovi sistemi stellari e planetari. Spesso sono la causa della loro scomparsa se le distanze sono troppo ravvicinate.

Dai dati raccolti, infatti, gli esperti hanno osservato che il bozzolo di gas e polvere che circonda le protostelle a circa 600 miliardi di miglia da una stella di tipo O è destinato ad essere spazzato via in solo “pochi” milioni di anni, molto più velocemente rispetto al periodo che impiegherebbero a formare un nuovo pianeta o un sistema stellare. Le stelle di tipo O sono “dei veri mostri paragonati al nostro Sole ed emettono un’enorme quantità di radiazioni ultraviolette” che provocano una vera e propria “devastazione nei sistemi di formazione stellare”, ha sottolineato Rita Mann, un’astronoma del National Research Council del Canada e prima autrice dello studio “Alma observations of the orion proplyds” . I ricercatori hanno usato proprio il radiointerferometro situato in Cile per catturare “dozzine di stelle nella loro fase embrionale” che potenzialmente potrebbero formare dei pianeti e “per la prima volta sono state trovare indicazioni chiare sul come i dischi protoplanetari svaniscano nel nulla”. James di Francesco, altro ricercatore coinvolto nello studio, ha detto che “le stelle massicce sono centinai di volte più calde e luminose del Sole e i fotoni che vengono sprigionati possono velocemente prosciugare il disco protoplanetario portando ad altissime temperature il gas e disperdendolo nello spazio”.

Erano già stati effettuati rilevamenti con il telescopio spaziale di NASA/ESA Hubble  con il quale erano state scattate immagini che ritraevano proprio i proplyd nella Nebulosa di Orione. Molti hanno assunto una forma a goccia, ma finora non era stato possibile determinare la quantità di gas e polvere che veniva strappata via dal disco. Con le recenti osservazioni di ALMA sono stati rilevati il doppio dei dischi protoplanetari finora studiati ed è stato possibile studiarne anche il loro passato. Combinando questi studi con informazioni raccolte dal Submillimeter Array (SMA) alle Hawaii, i ricercatori hanno scoperto che ogni protostella all’interno del guscio denso di radiazioni ultraviolette di una stella massiccia rischia di perdere il suo disco in un periodo di tempo molto breve. In regioni come quella della Nebulosa di Orione, i proplyd riescono a conservare solo la metà del materiale necessario per la formazione di nuove stelle e pianeti (quantità ovviamente insufficiente).

Per saperne di più:

Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni


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