Abitavo da poco nello stabile a ridosso del parco giochi, nel poco tempo libero mi affacciavo alla finestra per distrarre la mente lasciandola libera di fuggire, seppure per pochi attimi, dai pensieri e gli affanni di ogni giorno.
Con il mento tra le mani, poggiata al davanzale della finestra della mia cucina, godevo delle girandole colorate che i bambini, nelle loro sgargianti magliette, sembravano disegnare ad ogni movimento.Erano come bolle di sapone, leggere correvano sul piccolo spazio verde, il sole giocava tra i riflessi, piroettavano e s’impegnavano in rocambolesche capriole, seguivano a perdifiato la loro ludica immaginazione, chiamavano a gran voce le mamme o i compagni.
Godevo di quello spettacolo, mi auguravo presto la nascita di un figlio così da poter seguire con occhi attenti le sue scoperte, le conquiste, il gioco in quel minuscolo fazzoletto d’erba vestito a festa dalla presenza della fanciullezza e tutti i suoi colori.
Spesso una anziana donna sedeva sulla panchina di quel parco, accanto all’albero, il cane compagno fedele le rimaneva al fianco sino a quando la donna non accennava ad alzarsi.
Era un cane guida, per quella donna erano gli occhi, il suo fedele compagno, la sua guida in un mondo che non poteva vedere.
Sapevo chi fosse, così come sapevo la sua storia; cieca dalla nascita, aveva perso i colori del mondo e per quanto stanca e sola, non fosse altro per la compagnia del suo amato cane, amava recarsi in quel giardino perché, come ripeteva spesso:
<< Le voci dei bambini raccontavano i colori >>
Pur non avendoli mai visti, aveva imparato ad immaginarli.
Accadde in una notte, nello spazio tra la veglia e il sonno, che un pensiero mi accarezzo la mente; Mi domandai se fosse stato possibile per me,sognare distesa tra tessuti di “tattili emozioni”.
Difficile sentire ciò che da sempre vedi, eppure, nel buio che ai miei occhi imposi, paura non trovai, ne venne meno la cadenza regolare del respiro, tipico di quando ci si aggira nello spazio, certi di poterne delimitare il confine. In quello che ci è dato di vedere, come gratuito e non scontato dono, il “tutto” non esiste.
Acconsentii a che i miei sensi ridestati, in sinergia corale, parlassero un idioma fino a quel momento sconosciuto.
Così mi addormentai… non vi fu luce a vigilare sul passo, sembrava un tunnel,quello che stavo percorrendo, eppure, non v’erano colori a renderne tangibili e certi i limiti.
Un passo dopo l’altro, in quell’angusto spazio,immaginario, dalle pareti assai distanti eppure da me avvertite come lievi costrizioni, uno sfiorar di pelle discreto e al contempo prepotente. Grigio, forse, perché del grigio dimenticai il tono.
Allora riconobbi, alla parola usata per descriverlo, il limite imposto.
Grigio, ti stringi nelle spalle senza timore ma privo di fiducia, rumori e suoni si vestono di ovatta, un aria insolita che giocherella con le fronde complici, non urla e non sibila, il vento…sussurra. Grigio è pesante ed inodore, appena salato, unge la pelle ma di esso ogni traccia si perde con lo sfregare della mano.
Respirai l’azzurro, appena fuori, come una spirale dal basso verso l’alto, padre di lieve brividi, nella totale assenza di limite, l’azzurro salta, vola, si sdraia e pensa…Disegna nella mente sofisticate scie dai riccioli vezzosi.
L’Azzurro è fresco, frizzante, liscio e privo di qualsiasi imperfezione al tatto.
Danza su ali di libellula, al suono di sapienti arpe.
Nei passi incerti, a piedi scalzi, mi parve di “vedere” il verde.
Umido suolo a sostenere quel cammino, morbido massaggio sensuale. Il Verde s’accosta e fugge, incontra il vento e lo sospinge.
Raffinato e nobile Signore, s’inchina, al passo lieve di fanciulle speranzose.
Il verde avvolge in prolungati abbracci, sussurra certezze con voce profonda.
Verde, che consola e ristora l’anima, verde che può baciare gli occhi di chi non vede e con le stesse labbra, posarsi sulle altrui con corpo morbido. Verde, corposo nettare dolciastro, suadente voce di sassofono.
Certa che fosse stato il Giallo a pungermi, d’istinto la mano mi passai sul braccio e feci appena in tempo, che subito mi parve di esser stata punta nuovamente.
Udii le grida di bambine, che nel gioco, testavano gli acuti delle loro voci, penetranti giunsero alle mie orecchie.
Portai le mani al viso e sentii d’esser pervasa da un senso di disagio, il Giallo ha voce di tromba, difficile non udirlo…Giallo che asciuga la pelle e l’avvizzisce, con prepotenza, nell’aria, diffonde fragranze agrumate, piacevoli e durature.
Giallo che lascia sete nella gola, ha lunghe unghie con cui graffia muri e cuori.
Ancora un solo passo ed ebbi la certezza di esser finita nel vischioso Rosso.
Come rivestita da una patina, sentii la pelle ammorbidirsi ed accettar benevolmente la sensazione di un caldo e umido abbraccio.
Nel desiderio persi l’attenzione…mi ritrovai ad ascoltar la voce di quel colore tanto decantato. Dapprima, mi parve femminile ma nella fusa e rassicurante intonazione, non più vi riconobbi Eva ma la sua contraria essenza…Adamo. Maschio, femmina, in un alternanza folle di sensuali richiami, Rosso, forti e abili braccia, carezze o schiaffi, colpisce i sensi prima delle gote.
Suono d’orchestra in crescendo, pesante coperta dalle grandi pieghe,ove si nascondono i pensieri.
Rosso come cibo, come sciroppo dolce, rosso che trattiene l’aria in bocca, respiro nell’assenza dello stesso.
In quel mancato prender fiato…mi destai, un rapido movimento d’occhi e i sensi s’assopirono…non più mi parve di vedere…nello stesso modo.
In piena luce, riconobbi il vero “volto” del colore nero, tutto quello che vediamo senza vedere davvero!
Ora da quella finestra, affacciandomi, godo di ciò che vedo ma riconosco il magico potere dei sensi, vibrazioni sopite, inascoltate eppure primordiali.
Ho imparato a concedermi qualche minuto in più; raggiungo la signora, che ormai mi riconosce prima ancora di ascoltare la mia voce, sono i passi e il mio profumo ad annunciarle la mia compagnia, Zak, lo splendido pastore tedesco, mi guarda con occhi grandi e pare ringraziarmi.
Oltre alle voci e ai suoi “tattili colori” Vera oggi ha parole e preziose descrizioni da donare.
Colui a cui Dio sembra avere tolto una possibilità, è straordinariamente colmo di ricchezza poiché della necessità ha fatto la sua virtù.