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Varcati i cancelli di Villa Zerbi si siede insieme su tronchi di colonne che riposano nel chiarore della Luna incompiuta. Uomini e donne, ancora per pochi attimi, prima di trasformarsi in respiri, specchi, sguardi. Le voci e i rumori di Reggio Calabria cercano invano di infiltrare le imposte sconnesse e il pietrisco, per scomporre il silenzio e soffiare sulla torcia accesa di Atena, che ci traghetta in sogno nel Regno di Ade. Ecco, corpi e desideri scompaiono alla voce, mentre lo sguardo della dea nera come la terra ci inchioda a croci fatte di paure e domande ruvide di musica. “Look back, look back Atena was black, Atena was black if you look back”. Morfeo è nascosto, lui stesso avvolto in quel sonno che ha il potere di regalare e sottrarre, distribuendo incubi e speranze, illusioni e malie in chi cerca di guardarlo negli occhi. Stiamo scivolando nella palude dell’inconscio, tutti insieme, momento per momento, e già non siamo più persone ma pareti di grotta, che la voce aspra di Atena trasporta dagli sfoghi oscuri di un dio al lamento armonioso ed eterno di una ninfa. Eco che canta un mattino di pioggia, tra una scala e l’erba di stagno, nella certezza amara che non ci sarà fine perché non c’è mai stato inizio, ricorda il dolore e le notti spese a invocare il suo amato, fino a ridurre se stessa a un flusso di note e parole, che ancora esiste, se solo prestiamo ascolto. È Atena che detta i tempi, che decide la vita e la morte di ogni storia. Tra le grandi scale persino Ade, il Principe dei Morti si mostra nudo e fragile, lasciando per strada i muscoli e la rabbia, nell’enorme assenza di Persefone, che lenta scende la scalinata, ogni passo una nota bassa e nera di pianoforte, perché le Tenebre si squarcino e poi velino con le loro storie le nostre presenze. Almeno nella Morte si è uniti, almeno nella Morte c’è Verità, e la Bambina senza nome può raccontare in un emiciclo di capri e statue votive, tra il nero e l’oro, la sua solitudine di moglie, illusa e tradita da Odisseo. Penelope, la grande filatrice di attimi, non ebbe buona sorte, e solo stasera, davanti ai nostri occhi attoniti rivela la sua follia di abbandonata. A tratti rientriamo nei nostri corpi, ma stando bene attenti a non irritare la Dea, a non scomporre il cammino, a non sovrapporre le voci. Orfeo guarda nel vuoto davanti a sé. Ha lottato e camminato tanto, scendendo all’Ade per amore. Umano come noi, nell’errore, nella fiducia infranta all’ultimo tempo, condannato per sempre a ricordare e dannarsi, per una colpa che non lo lascia mai. Atena non giudica, ma neppure è facile al pianto. Non commisera ne’ disprezza persone ed anime, turbata piuttosto dai rumori e dalle voci di fondo. Fuori, la città di Fata Morgana vorrebbe irrompere e spezzare il racconto, e allora la Dea Nera posa uno sguardo di cenere e il potere della sua torcia e delle sue leve nervose per fermare lo sconcio del fuori e salvare l’olimpico dentro. L’orrore e la pietà bagnano il racconto di Filomena e la sua densa e folle tristezza. Distesa tra le piante, confusa tra le palme, si flagella ricordando il sangue, anche se poi se ne compiace, piangendo. Scende il buio in giardino, e Villa Zerbi è ancora di Atena, mentre scopriamo Narciso immerso in se stesso, adorante e rabbioso, innamorato di un paradosso e per questo infinitamente, eternamente solo. Il rumore dei ferri tra le colonne. Prometeo ha osato unire quel che gli Dèi avevano intimato di tenere distante. Il dono del Fuoco e di se stesso, mai compreso dall’umanità, ingrata nella conoscenza dell’oscuro, e dimèntica della lenta morte e della tortura del corpo e dell’anima dell’unico dio davvero innamorato della Terra. Il viaggio finisce davanti a un altro cancello, dove tornano le voci, i rumori, i dubbi. Dove i lampi di un cellulare mai stanco e le battute fuori scena riacquistano senso. Oltre il nero, il rosso e il bianco, Laura Sales ha lasciato Atena e il suo Sogno. Eugenio Durante si è sottratto al potere di Morfeo, e la splendida voce di Eco è tornata a Valentina Lucente. Andrea Luceri ha i sorrisi che Ade gli invidia e Giulia Felli vede la luce di lampioni che Persefone nemmeno immagina, qui, mentre sulle scale della Villa, ci si stringe insieme, dèi e semidei, attrici e attori, per una foto. Martina Ubaldi può uscire dall’Ade, libera per sempre dai viaggi mendaci di Odisseo, Gianluca Fasano può guardare l’erba e la luna, separandosi infine da Orfeo; e Valentina Marraffa dimenticare il sangue del canto senza lingua di Filomena. Simone Corbisiero lascia lo stagno senz’acqua di Narciso, e Giovanni Cordì abbandona finalmente le catene di fuoco di Prometeo alla Notte. Siamo tornati orfani meticci. Pubblico di mille razze senza più Madre, mentre la Black Atena di Martin Bernal e le note degli Almamegretta ci esplodono ancora nello stomaco. “Look back, look back Atena was black, Atena was black if you look back”. Aria e incubo, Terra e sottoterra, Acqua di stagno, Fuoco e catene da domani ripartono insieme alle attrici e agli attori sperimentalisti che fanno teatro come Los Toritos alla Casa de Asteriòn di Roma, in uno splendido Labirinto dei Miti che rinnoverà Il Sogno di Atena in molti altri luoghi dannati e sublimi. di Gianluca Iovine.
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